6 marzo 2018 - 22:54

L’attendismo del leader M5s Di Maio che scommette sulla crisi del Pd

La tattica è di pura attesa. Dopo l’appello a tutti, precisando che «non c’e’ alcuna attenzione particolare verso l’una o l’altra», il vertice del M5S aspetta le mosse altrui

di Massimo Franco

Circonvallazione Cornelia (LaPresse) Luigi Di Maio ad Acerra dopo la vittoria (Kontrolab)
shadow


La tattica per i prossimi giorni è di pura attesa. Dopo avere rivolto un appello a tutti, precisando che «non c’e’ alcuna attenzione particolare verso l’una o l’altra», il vertice del M5S aspetta le mosse altrui. E spera. Spera che nel Pd il regolamento di conti tra Matteo Renzi e i suoi avversari, che hanno preso coraggio solo di fronte alle macerie del partito, porti a un cambio di leadership. Spera che la coalizione di centrodestra mostri presto le crepe tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, nascoste dietro le parole ufficiali di unità. E tratta discretamente con quanti, a sinistra, già si preparano a dialogare con i vincitori delle elezioni del 4 marzo; ed eventualmente a sostenere un loro governo.

Ma soprattutto, Luigi Di Maio si è assegnato il compito di assecondare quanto più possibile il Quirinale, tenendo a bada chi nel Movimento rivendica scompostamente Palazzo Chigi in nome della maggioranza relativa dei voti. E intanto confida che tra i dem crescano i dubbi su un passaggio all’opposizione, come vorrebbe Renzi.

Un simile atteggiamento può portare al voto anticipato e al rischio di una disintegrazione del Pd: esito perfino peggiore della resa a un accordo con i Cinque Stelle. Non solo. L’atteggiamento rispettoso verso il capo dello Stato si propone di aprire una fase, impensabile prima, di raccordo tra Cinque Stelle e Sergio Mattarella.

Sarebbe paradossale, per un Pd che ha eletto il capo dello Stato e lo considera «suo». Ma gli attacchi neppure larvati di Renzi sia a Paolo Gentiloni, sia a Mattarella per avere evitato le elezioni dopo la sconfitta al referendum del 4 dicembre 2016, e salvato la legislatura, stanno scavando un solco profondo.

Né aiuta la battuta attribuita al segretario dimissionario del Pd, e poi smentita, di volere «andare a sciare» senza partecipare alle consultazioni per il nuovo governo. Certo, per un leader che diceva di «partire dal 40 per cento» delle Europee del 2014 e voleva primeggiare, ritrovarsi tra 18 e 19 per cento dev’essere uno shock.

Questo sfondo di tensioni spiega perché il M5S scommetta su un Pd meno rigido col passare dei giorni. Ma per i dem, diventare una sorta di «Spd di Di Maio» brucerebbe. Come i socialdemocratici tedeschi, battuti, determinati a dire «mai più al governo con Angela Merkel», e ora costretti a appoggiare la cancelliera della Cdu, il Pd si dovrebbe piegare a un qualche sostegno ai Cinque Stelle. La situazione, però, è molto diversa. In Germania, Cdu e socialdemocratici sono stati alleati per anni; M5S e Pd, invece, sono avversari irriducibili. Ricucire il Paese attraverso un compromesso tra di loro equivarrebbe a un miracolo; oppure alla presa d’atto che è il male minore per evitare un’ingovernabilità pericolosa.

Per questo un Renzi non proprio lucido semina e fa spargere veleni sui potenziali «traditori» annidati nel partito. Cerca di spendere l’unico argomento che a caldo può dargli ancora qualche settimana di tempo e di potere, sempre più contestato: opposizione come purificazione del Pd. E intanto lascia filtrare che i gruppi parlamentari sono in massima parte sotto il suo controllo. Dunque, un appoggio al M5S dovrebbe ricevere il suo placet. E non lo darà.

[an error occurred while processing this directive]

«Non ho mai pensato sia possibile fare un governo con il M5s e tantomeno con la destra», è costretto a precisare il ministro della Cultura, Dario Franceschini, additato tra i sospettati dai renziani. «Sono inutili le polemiche o i velenosi depistaggi mediatici». Ma altri dirigenti si sentono meno esposti, e ammettono di essere pronti al dialogo col M5S: dal governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino, che dice di avere «quasi quotidianamente un dialogo con la sindaca grillina di Torino, Chiara Appendino»; al presidente della Puglia, Michele Emiliano. E la fila si allunga al Sud dove il Movimento calamita voti più numerosi di quelli della Lega a Nord.

Proprio sul Mezzogiorno Di Maio fa un’altra scommessa: che anche nel centrodestra si registri una lenta emorragia di voti e di eletti berlusconiani, in odio alla Lega «nordista», a favore del M5S. L’insistenza di Salvini su un Carroccio votato in tutta Italia sembra fatta anche per scoraggiare questa dinamica. Rimane l’incognita sulle intenzioni di un Berlusconi indebolito. È chiaro che se mancasse a Salvini l'appoggio dell’intero centrodestra, le sue legittime ambizioni presidenziali si ridurrebbero di molto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT