Milano, 11 novembre 2017 - 09:23

Via di Salone, incendio per uccidere «I campi in mano a un clan»

Bruciate le due case dell’ex delegato per i rom Najo Adzovic. «Sono due anni che denuncio quello che succede: c’è un’alleanza con malavitosi romani. E ho anche subìto minacce: mi dicono “Prima o poi ti troviamo”»

Vigili del fuoco impegnati nello spegnimento del rogo a Salone Vigili del fuoco impegnati nello spegnimento del rogo a Salone
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«Le denunce le ho fatte. E continuo a farle ormai da due anni. Ma gli attacchi non si fermano. E ieri mattina hanno quasi ammazzato mio figlio: ha sentito il calore che avvolgeva il container ed è schizzato fuori appena in tempo prima di morire bruciato». Najo Adzovic ha il fiatone. L’ansia per quello che sta accadendo alla sua famiglia non lo lascia un attimo. Ieri, nel campo di via di Salone - lo stesso dove abitano Mario Seferovic e Maikon Halilovic, i due presunti stupratori delle 14enni al Collatino -, ha perso tutto: i due moduli abitativi dove viveva con la moglie Senada e i figli sono stati dati alle fiamme.

«Ci siamo svegliati all’alba per accompagnare uno dei bambini in ospedale - racconta Adzovic, ex delegato comunale per i rom sotto la giunta Alemanno e prima ancora portavoce dell’ex Casilino 900, l’insediamento più grande d’Europa -. Meno di dieci minuti più tardi ci hanno chiamato che stavano bruciando i container. Adesso la mia famiglia si trova sotto protezione in un luogo segreto, lontana da me. Spero - dice ancora - che la magistratura prenda iniziative al più presto perché non ne possiamo più».

Sull’incendio indaga il gruppo Sicurezza pubblica emergenziale della polizia municipale, che con i vigili del fuoco è intervenuto in via di Salone. «Ho presentato un’altra denuncia dopo quelle di ottobre, quando mia moglie e mia figlia sono state aggredite e rapinate (al mercato in via Anagnina, a colpi di cacciavite). Proprio mia figlia - ricorda Adzovic - l’hanno massacrata a calci e pugni, le hanno anche puntato la lama alla testa. Chi sono? Quelli di una famiglia molto potente, rom in combutta con un’organizzazione criminale romana. Proprio ieri uno dei boss mi ha telefonato: “Prima o poi ti troverò dentro un bar, e allora a te ci penserò io”, mi ha detto».

Un quadro allarmante. Il fuoco che ritorna fra i rom per colpire e uccidere. Come in quella notte di maggio quando a Centocelle le tre sorelline Halilovic hanno perso la vita, bruciate nel camper di famiglia assalito con le molotov - secondo l’accusa - da quattro Seferovic ora in carcere. «Io infastidisco questi clan di stampo mafioso. Loro fanno affari con la droga, le rapine, la prostituzione. Toccano le ragazzine del campo - rivela Adzovic -, e io denuncio tutto questo, anche in televisione (l’ultima volta poche sere fa a Quinta Colonna su Rete 4). Non posso accettare che a Salone, come alla Barbuta e anche altrove, accadano queste cose. Qualche furtarello nei supermercati ci può anche stare, ma qui siamo oltre il limite. Il clan che mi ha preso di mira vuole comandare su Roma insieme con i romani, che sono interessati anche ad altro. Sono mesi che denuncio queste cose, chiedere il pizzo nel campo è solo un affare superficiale», conclude Adzovic.

Che poi lancia un avvertimento: «Questi qui vogliono che nei campi rom regni il disordine, il caos. Il Comune non parla, per me che combatto i malavitosi da 20 anni, mai una parola di solidarietà. Dagli insediamenti il Campidoglio è sparito. E anche io adesso sono scappato: la mia famiglia non ci vivrà mai più».

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