10 gennaio 2018 - 07:46

Roma, con il nuovo statuto comunale a firma M5S via le quote rosa

Dall’obbligo di una rappresentanza al 50% si passerebbe a una soglia 40-60 prevista dalla legge Delrio che, pur non implicando la preponderanza maschile, cancellerebbe la rappresentanza in egual misura prevista dalla norma precedente

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«Di norma in pari numero». È scritto nello statuto di Roma Capitale, approvato nel marzo 2013, che in giunta sia garantita in egual misura la presenza di uomini e donne. Regola valida sia per il Comune sia per i Municipi. Se non fosse che i Cinque stelle, primo firmatario il consigliere Angelo Sturni, nella proposta di riforma dei principi che regolano l’organizzazione della macchina amministrativa, vogliono modificare i criteri, applicando la legge Delrio che prevede una soglia 40-60, non necessariamente a sfavore delle donne. A sentire i pentastellati, volendo si potrebbe anche optare per una maggiore rappresentanza femminile. Ma dalle opposizioni, oltre a ritenere la proposta peggiorativa, temono che sia un escamotage per agevolare sostituzioni e rimpasti nella squadra di governo.

«Roma era all’avanguardia, con la revisione dello statuto rischia di fare un passo indietro — interviene la consigliera dem Giulia Tempesta — . Del resto, se la prima sindaca donna della Capitale definisce le quote rosa “una riserva per panda”... Non è una questione di percentuali, ma di democrazia paritaria». Replica Sturni: «Non è prevedendo una quota di poltrone che si tutela il principio di pari opportunità, ma con misure di sostegno alle famiglie». Nei corridoi di Palazzo Senatorio, però, c’è chi interpreta la modifica come una manovra della maggioranza per tenersi le mani libere: «La sindaca sarebbe meno vincolata e far entrare in giunta un uomo al posto di una donna non sarebbe più un problema». I maligni hanno in mente un caso in particolare: «Da tempo si vocifera che stiano pensando di sostituire l’assessora ai Traporti, Linda Meleo, con il consigliere Enrico Stefàno».

Altro motivo di scontro con le opposizioni, l’ipotesi di cambiare nome alla commissione delle elette, che dovrebbe essere ribattezzata con la dicitura «Pari opportunità». «Adesso è composta da 16 donne, ma bisogna essere almeno in otto e le grilline non ci sono mai — attacca Tempesta — . Non è un club dove si insegna economia domestica, ma dovrebbe esprimere una valutazione di genere sulle politiche del Comune». La discussione, protrattasi fino a sera, è stata aggiornata a domani mattina. Per approvare il nuovo statuto non basta la maggioranza qualificata, ma servono i due terzi. Con le minoranze che remano contro, per il M5S non sarà facile spuntarla. È stato votato, invece, l’emendamento che inserisce il principio dell’acqua pubblica (una delle cinque stelle del Movimento). Salvo l’astensione dei grillini sulla proposta di riaprire i nasoni dopo l’emergenza idrica della scorsa estate e dotarli di un pulsante per ridurre gli sprechi: «Non votiamo perché Acea ci sta lavorando». Dichiarazione che innesca le polemiche del Pd, con siparietto dei rifiuti portati in aula poco dopo l’Inno di Mameli (domani la seduta straordinaria sul caos monnezza): «Siamo stufi di sentire ripetere il solito mantra “stiamo lavorando” a un anno e mezzo dal vostro insediamento — attacca la capogruppo dem, Michela Di Biase — . Con lo spoils system dentro Acea ormai fate come vi pare».

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