30 marzo 2018 - 07:22

Terrorismo, gli incontri dei jihadisti tra Ostia e la moschea di Latina

Era la fine di dicembre 2016, e tre mandati di perquisizione, eseguiti dalla Procura di Roma fra la capitale e Aprilia, invitavano a non sottovalutare il radicalismo sul territorio pontino. Oggi la conferma dalle nuove indagini

di Ilaria Sacchettoni

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Bazzicano Ostia, s’incontrano a Roma, lavorano a Latina. Soprattutto frequentano il deep web dove insegnano ad armare un lanciarazzi e ad apprezzare i Panzerfaust con cui i tedeschi bersagliavano i russi (seconda guerra mondiale). Infine, si raccolgono attorno alla moschea di via Chiascio (Latina) inneggiando al radicalismo, maledicendo le multinazionali e progettando confusi riscatti. Ma soprattutto pianificano un attentato nella metropolitana della Capitale. Più precisamente sulla linea B (quella che passa per il Colosseo), alla stazione Laurentina.

Era la fine di dicembre 2016, e tre mandati di perquisizione, eseguiti dalla Procura di Roma fra la capitale e Aprilia, invitavano a non sottovalutare il radicalismo sul territorio pontino. Anis Amri aveva appena colpito al mercatino natalizio di Berlino: una serie di contatti telefonici e un indirizzo, ad Aprilia appunto, indicavano che il terrorista di Charlottenburg era passato di qui. Il 12 marzo 2017 è stata la volta dell’espulsione di Hicham Al Arabi, bracciante che viveva nel basso Lazio.

Secondo la Digos romana che indagava su di lui, insieme con la polizia postale e la questura di Latina, anche Al Arabi, 37 anni, aveva contatti con la galassia jihadista. Sul suo profilo Facebook aveva aderito alla fede islamica più estrema, quella in prossimità dei gruppi terroristici. Nei suoi confronti erano così scattati degli accertamenti più approfonditi che avevano poi portato alla decisione del Viminale di allontanarlo dal territorio nazionale, il rimpatrio era arrivato con un volo di linea per Tunisi. L’inchiesta del pm Sergio Colaiocco, oggi, lo conferma: attorno al centro di preghiera islamico di Latina si muove un mondo che si esercita, con inquietante applicazione, alla Jihad. Scrive il giudice per le indagini preliminari Costantino De Robbio: «Si è potuto riscontrare che, a partire dal periodo in cui questi (Anis Amri, ndr) era stato presente e fino ai giorni nostri, molti cittadini provenienti dai paesi arabi dimoranti nella provincia di Latina avevano subito un processo di radicalizzazione aderendo all’ideologia propugnata dall’Isis e al suo proposito di realizzare atti di terrorismo nel nostro paese».

Roma è certamente un territorio di passaggio. Ma chissà, forse è anche un obiettivo da veicolare sul deep web fra un inno alla sharia e una lode alla resistenza afghana. Di certo c’è che il 20 luglio 2017, a Montesacro, nei pressi del consolato tunisino, Abdel Salem Napulsi, l’uomo arrestato ieri dalla Digos, incontra l’estremista Mounir Khazri. Anche se fra i due i contatti più significativi, sotto il profilo investigativo, sono quelli telefonici, Khazri si preoccupa di essere pedinato. I due ne parlano. I contatti fra Khazri e Napulsi sono centrali nella narrazione di questa jihad nostrana ricostruita dalla procura. Scrivono i magistrati: «Dall’analisi dell’ingente materiale di chiaro orientamento fondamentalista visualizzato si ritiene che Napulsi abbia acquisito un indottrinamento di alto livello e, imbevuto di contenuti ideologici estremi derivati dal costante e intenso e learning effettuato, abbia acquisito consapevolezza e desiderio di assurgere ad entità satellitare dell’universo jihadista». Il web li unisce, veicolando messaggi e spargendo dottrine.

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