4 marzo 2018 - 09:49

Jacopo Gassmann: «Una cena fra amici si trasforma in duro conflitto»

Il regista, figlio di Vittorio Gassman, porta in scena dal 6 marzo al Teatro India «Disgraced» del Premio Pulitzer Ayad Akhtar, un testo sulla crisi di identità

di Emilia Costantini

Una scena di «Disgraced» Una scena di «Disgraced»
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Una piacevole cena tra quattro amici nella New York dell’upper class colta e liberal. I padroni di casa: Amir, avvocato di successo, nato e sempre vissuto in America ma di origini pachistane, e sua moglie Emily, pittrice newyorkese. Gli ospiti: Isaac, ebreo, noto gallerista, e sua moglie afroamericana Jory, avvocato collega di Amir. Quattro amici, quattro provenienze etniche, e il piacevole convivio si trasforma ben presto in un duro conflitto su temi politici e religiosi, di integrazione e convivenza sociale.

Una moderna tragedia greca

Disgraced è la pièce dell’autore americano, di origini pachistane, Ayad Akhtar, Premio Pulitzer 2013, tradotta e messa in scena da Jacopo Gassmann da martedì al 18 marzo al Teatro India. «Una moderna tragedia greca - esordisce il regista, ultimo nato della dinastia Vittorio Gassman - ma, secondo quanto afferma l’autore stesso, ispirata all’Otello di Shakespeare: il personaggio di Amir è pensato sul calco del Moro di Venezia». Però l’idea della cena amichevole che deflagra in un aspro confronto, ricorda pure la commedia Il Dio della carneficina dell’autrice francese Yasmine Reza, poi film Carnage di Roman Polanski. «È vero - concorda Gassmann -, ma in questa cena si parla di altro. L’inizio dello spettacolo è significativo. Emily chiede ad Amir di posare per lei, vuole fargli un ritratto, prendendo spunto dal celebre dipinto di Velázquez, dove l’artista ritraeva il suo inserviente Juan de Pareja, vestito con trine e merletti come fosse un regnante e non uno schiavo. Dunque una donna occidentale, come Emily, vuole dipingere un uomo, il marito pachistano che appartiene a una minoranza. Il testo di Akhtar, infatti, affronta la crisi di identità in una società fortemente multietnica, come quella statunitense».

L’atmosfera del dopo 11 settembre

Poi c’è l’altra coppia: «Certo, quella di un ebreo sposato con un’afroamericana... altre minoranze che si mescolano in un contesto apparentemente accogliente. Infine, il quinto personaggio è il nipote di Amir, Abe, che chiede allo zio di intervenire come avvocato a sostegno di un caso delicato: un imam è stato accusato di finanziare attività integraliste. L’atmosfera è quella del dopo 11 settembre e i pregiudizi nei confronti di persone con origini islamiche sono forti». Un’atmosfera che Jacopo conosce bene: «Avevo vent’anni, studiavo a New York, e quel giorno tragico me lo ricordo molto bene, anche se per fortuna ero distante dalle Torri gemelle. Una giornata terribile e, al tempo stesso, la solidarietà di tanta gente che correva a dare una mano, a donare il sangue... Nei giorni successivi, si avvertiva il clima cambiato, la paura era nell’aria: io avevo dei compagni di liceo musulmani e ho percepito il loro stato di prostrazione, il timore della diffidenza altrui». Protagonisti in scena, Hossein Taheri, Francesco Villano, Lisa Galantini, Saba Anglana, Marouane Zotti. «Nessuno esce vincente da questa storia, ma forse tutti i personaggi provano a guardarsi dentro per la prima volta. Nella difficile convivenza tra etnie, dobbiamo iniziare ad ascoltarci di più».

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