Milano, 3 dicembre 2017 - 21:25

D’Alema in fila 2, Bersani in settima
I nomi storici fanno spazio al leader

L’ex premier: lui funziona perché è vero, può parlare a una platea più larga

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ROMAMassimo D’Alema si è scelto un posto di seconda fila, a una seggiola di distanza da Antonio Bassolino. Pier Luigi Bersani si è «nascosto» in settima, accanto al senatore Federico Fornaro. E quando Pietro Grasso, sazio di ovazioni, scende giù dal palco ad abbracciare i compagni, l’ex segretario del Pd si fa largo tra la folla e cerca con gli occhi D’Alema. Quella stretta di mano, forse persino esibita, suggella il patto tra «Pier Luigi» e «Massimo», la scelta di un passo indietro all’unisono per lasciare la guida della lista unitaria al presidente del Senato.

Pietro Grasso il «papa straniero» dei fuoriusciti dem, come fu Romano Prodi per il Pds di vent’anni fa? D’Alema non si sottrae, anzi risponde pacato: «Parliamo di persone molto diverse e di un’epoca diversa. Allora il problema era tenere assieme la sinistra e il centro, oggi invece il tema è il rapporto tra la politica e i cittadini». Perché proprio l’inquilino di Palazzo Madama e non lei, o Bersani? «Grasso è la personalità giusta per parlare a una platea più larga. Funziona, perché è vero».

Allargare il campo sconfinando nei possedimenti elettorali del Pd renziano, ecco la magnifica ossessione di D’Alema. Se nel nome «Liberi e Uguali» non c’è la parola sinistra è anche perché l’ex premier punta ad andare ben oltre le cosa rossa, sfondando il muro del 10 per cento. Gli antipatizzanti diranno che il fondatore si è auto-rottamato, lui invece si mostra a suo agio nella parte del padre nobile: «Cosa farò? Darò una mano, non ho bisogno di ritagliarmi ruoli».

E una mano di certo darà Bersani, continuando a riempire le sale su e giù per l’Italia. Le telecamere non lo mollano un attimo, i giornalisti lo pressano per intervistarlo e lui, che non vuole fare ombra all’uomo del giorno, si sottrae con un sorriso e un doppio inchino in direzione di Grasso. Un modo per ribadire, con il linguaggio del corpo, che adesso il leader è il presidente del Senato. Il passaggio di testimone avviene sotto gli occhi di tutti. Grasso scende dal palco, D’Alema lo accoglie con un «bravissimo!», Bersani gli prende le mani e gliele stringe a lungo. È a lui che l’ex magistrato deve politicamente tutto, il posto in lista nel 2013 e «l’onore indescrivibile» dell’elezione a presidente del Senato.

Per Roberto Speranza tra la vicenda di Prodi e quella di Grasso «ci sono molti tratti simili», ma il nuovo «papa» per lui non è straniero: «Fa parte della nostra storia». La «vecchia» nomenklatura resta in secondo piano. Ecco Vincenzo Visco, Fabio Mussi, Nichi Vendola, Nico Stumpo, Davide Zoggia, Stefano Fassina. Ecco Gavino Angius... Peppino Caldarola, direttore di ItalianiEuropei, non è stato invitato: «Grasso? È la solita logica, la convinzione che i post-comunisti hanno bisogno di una figura che li renda presentabili. Io ci vedo una cessione di sovranità impressionante, neppure con Prodi è stato così». Eppure Bersani si sente a casa: «Facce nuove che arrivano, facce vecchie che tornano... C’è sempre più gente che sedie, c’è sempre più pane che denti».

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