Milano, 22 ottobre 2017 - 23:42

Referendum Veneto e Lombardia, ora cosa cambia? Il governo pronto al confronto, sul modello-Emilia

Il «massimo rispetto» per i votanti. Bressa seguirà il tavolo sull’autonomia

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ROMA — Il governo ha seguito con «grande attenzione» il doppio referendum celebrato in Lombardia e in Veneto e ha espresso, come sempre accade quando si celebra una libera consultazione democratica, «massimo rispetto» per i circa 5 milioni di cittadini che sono andati a votare, su chiamata dei governatori Maroni e Zaia, per chiedere alle rispettive regioni di intavolare con l’esecutivo una trattativa su «ulteriori forme e condizioni di autonomia».

D’altronde — è la linea di Palazzo Chigi — quella delle regioni ad «autonomia differenziata» è una via tracciata con scrupolo dalla Costituzione (III° comma dell’articolo 116) che l’Emilia-Romagna ha già imboccato senza però aprire la laboriosa e costosa fase del referendum consultivo. Dunque, dopo 16 anni di calma piatta — il III° comma dell’articolo 116 è stato introdotto nella Carta con la riforma del titolo V del 2001 — ben vegano le proposte delle regioni virtuose che — in cambio di quote di Irpef, Iva e altre imposte — riescano a prendersi in carico alcune delle materie concorrenti (Stato-Regioni) previste dall’articolo 117.

Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni — che dopo le dimissioni del ministro Enrico Costa (ex Ap, ora di nuovo vicino a Berlusconi) ha affidato l’intero pacchetto degli Affari Regionali al sottosegretario Gianclaudio Bressa (Pd) — ha fatto a tutti l’esempio dell’Emilia-Romagna per spiegare la portata costituzionale dei referendum consultivi indetti in Lombardia e in Veneto.

E così, con un tempismo notevole frutto comunque di un lavoro preparatorio lungo molti mesi, il 18 ottobre il premier riceveva a Palazzo Chigi il governatore Stefano Bonaccini per la firma di una «dichiarazione di intenti»: un’intesa Stato-regione che ha fatto seguito alla risoluzione adottata il 3 ottobre dal consiglio regionale dell’Emilia-Romagna per ottenere forme e condizioni particolari di autonomia. Il passo successivo — sempre con un bel tempismo rivolto ai referendum di Zaia e di Maroni — ci sarà domani quando Bonaccini tornerà a Roma per iniziare la trattiva con il sottosegretario Bressa che ha una delega piena anche perché, nel 2001, fu lui a scrivere il III° comma dell’articolo 116.

La riforma del Titolo V, nata con il governo D’Alema, fu confermata dal referendum celebrato quando ormai a Palazzo Chigi era arrivato Berlusconi. Al suo successore, Romano Prodi, arrivarono nel 2007 le istanze dei governatori della Lombardia e del Veneto ma poi, nel 2008, quando il Cavaliere era di nuovo in sella con Maroni e Zaia nella squadra di governo, la trattiva si fermò. Infine, nel 2015, il ministro per gli Affari regionali Costa provò, su mandato di Renzi, a trattare con Zaia ma si sentì rispondere che prima si sarebbe dovuto celebrare il referendum. E ora ad urne chiuse — per dirla con una formula usata dal segretario dem del Veneto, Alessandro Bisato, che sembra ricalcare la linea di Palazzo Chigi — «Zaia non ha più scuse perché già da anni avrebbe potuto ottenere deleghe e competenze se solo avesse avviato una contrattazione seria con lo Stato senza buttare via risorse pubbliche».

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