6 marzo 2018 - 22:14

Renzi: «Chi vuole governare con M5S dovrà dirlo nella Direzione del Pd»

E il segretario dimissionario del Pd ora apre la partita per l’elezione dei capigruppo

di Maria Teresa Meli

Matteo Renzi (Ap/Stinellis) Matteo Renzi (Ap/Stinellis)
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La notizia arriva nel pomeriggio e mette tutti in allarme: Matteo Renzi potrebbe non partecipare alla Direzione di lunedì prossimo. In realtà il segretario dimissionario non ha ancora deciso il da farsi, ma l’indiscrezione preoccupa i vari Franceschini, Delrio, Gentiloni, Martina, Minniti, cioè tutti gli esponenti della maggioranza del Pd che hanno preso le distanze dal leader. Viene letta come un atto ostile: un modo per evitare di farsi ingabbiare da quanti — e sono sempre di più — vogliono imporgli in quella riunione una gestione collegiale di qui a quando verrà eletto un successore di transizione (alla Epifani, per intendersi) o un segretario a tutti gli effetti, con le primarie.

La gestione collegiale non è contemplata dai renziani: meglio che il partito vada avanti con il presidente dell’Assemblea nazionale Orfini sino al Congresso. Ma non è detto che riescano a reggere questa linea fino a lunedi. Il leader dimissionario sembra cadere dalle nuvole quando legge le dichiarazioni degli esponenti della fu maggioranza Pd sul suo conto: «Io sto fuori da tutto, che vogliono ancora da me?», ripete ai suoi prima di partire per la sua Firenze, e non per andare a sciare, com’era stato detto. E aggiunge: «Non sono più una notizia, non sono più il leader, quello è Di Maio, io non esisto. Che cosa può interessare se vado o meno in Direzione? Non facciano finta che il problema sono io. Se invece la questione è un’altra, se vogliono fare l’accordo con i 5 Stelle o con la destra lo dicano in Direzione, ma non tirino più in ballo me».

Renzi si è convinto che una parte del Pd, per aiutare Mattarella in questa fase, sia pronto a fare un governo purchessia. E vuole impedirlo. È da giorni che si interroga su «quella sponda offerta a Di Maio dal Quirinale». E anche la discesa in campo di Carlo Calenda in questo senso insospettisce i renziani. Però il loro leader non sembra molto preoccupato e lo dice ai suoi: «Può darsi che voglia fare il segretario, anche se il suo aiuto alla lista della Bonino non è stato così decisivo...». Per questa ragione, per «stoppare ogni tentazione inciucista» e perché, spiegano i renziani, «il Quirinale non vuole un pd attestato sul no preventivo e molti al nostro interno potrebbero allinearsi», in Direzione verrà messo ai voti un ordine del giorno in cui si dice he il Partito democratico starà all’opposizione. Ma la presenza o meno del leader uscente a quella riunione è importante: «Se non c’è lui salta tutto», dicono in quel pezzo della maggioranza che si è staccato da Renzi. Il segretario uscente appare sempre più isolato dentro il Pd, con Lorenzo Guerini e Matteo Orfini a fare da pontieri. E più di uno, tra i big dell’ex maggioranza interna, si sta convincendo che Renzi voglia farsi il suo partito, però lui nega. Quello a cui sta pensando piuttosto è un’associazione.

Ma c’è anche un’altra partita che si sta aprendo e riguarda l’elezione dei capigruppo di Camera e Senato: saranno loro ad andare alle consultazioni al Quirinale. E tra i parlamentari Renzi non è così isolato come tra i big del partito. Le liste le ha fatte lui e anche se non tutti i suoi sono stati eletti, visto il tracollo del Pd, comunque i gruppi sono a trazione renziana. Al Senato i numeri sono più che favorevoli al segretario dimissionario. Quasi tutto il gruppo è suo. E infatti circola il nome di Dario Parrini come possibile successore di Luigi Zanda alla presidenza. O, in alternativa, quello di Mauro Del Barba. Alla Camera i numeri sono diversi. I renziani di stretta osservanza sono poco più della metà. Ma il segretario uscente non vuole compiere atti di rottura e forzare la mano. Quindi per quella presidenza si potrebbe giungere a un compromesso interno.

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