24 marzo 2018 - 21:37

Berlusconi: «Salvini ora stia ai patti». E processa tutta la «vecchia guardia»

Il leader di Forza Italia contro Romani e Brunetta, che lascia il ruolo da capogruppo

di Paola Di Caro

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Venti ore dopo aver dichiarato in una nota che la Lega aveva rotto la coalizione e che era stato «smascherato» il piano di andare a formare un governo con il M5S, Silvio Berlusconi esce da palazzo Grazioli dove lo ha appena incontrato e di Matteo Salvini dice che si fida «assolutamente», e che è «molto felice» di aver raggiunto un accordo e salvato l’alleanza. Nemmeno un giorno è trascorso dalla rottura alla ricucitura nel centrodestra, ma sembra passata un’era geologica. Perché tra la notte e ieri mattina si è consumato l’ultimo salto mortale del leader che ha cancellato in un colpo un gruppo dirigente storico, una pretesa di leadership, un metodo. Lasciando sul campo una vittoria oggettiva — l’elezione della Casellati —, ma tante macerie e paura: «Speriamo che Salvini stia ai patti, che mantenga la promessa...». E che non tratti da solo con i grillini facendolo fuori o non lanci l’Opa ostile su FI, è la speranza ma assieme il grande timore di Berlusconi e di tutto il suo partito che non vede un futuro.

Quello che ha creduto fino a venerdì notte Berlusconi — che tutto il suo stato maggiore gli ripeteva, da Romani e Brunetta, da Letta a Gasparri, da Ghedini a Tajani — e cioé che Salvini aveva già un accordo con il M5S e che per FI sarebbe rimasto solo un ruolo ininfluente se si fosse ceduto, ha deciso di accantonarlo. Venerdì era il più arrabbiato — «Facciamo cadere tutte le giunte, a partire dalla Liguria!» —, e lo è stato fin quando ha capito che la rottura era davvero inevitabile, perché Salvini non si piegava, e perché anche l’ultimo contatto di Letta con Lotti per verificare una soluzione alternativa si era arenato su numeri insufficienti. Da qui la convinzione: «Non posso rompere. Non voglio restare fuori dalla partita. Non posso permettermelo». Un ragionamento che vale per la formazione del prossimo governo, nonostante l’ex premier sappia che per il suo partito non ci sarebbe un ruolo centrale, ma che guarda anche all’eventualità di un voto presto: per salvaguardare almeno una parte delle sue truppe mantenere l’alleanza con Salvini è indispensabile. C’è poi la preoccupazione per «le sorti delle mie aziende», per come «potrebbero colpirmi Lega e M5S se mi metto contro» che ha pesato sul dietrofront che ha portato ieri mattina al vertice dei leader e a un’ora e mezza di puro fuoco, perché Berlusconi aveva ancora pronto un comunicato per riproporre la Bernini come candidata, e perché a quel punto hanno detto no urlando sia Brunetta che Romani: «Così andiamo al suicidio!».

Niente da fare. È passato il no alla Bernini, ma si è andati sul pure gradito nome della Casellati. Assieme si è sancita la fine di un gruppo dirigente. Mandati in prima linea e abbandonati durate la ritirata, Romani, Brunetta, lo stesso Letta che tanto si era speso per evitare l’abbraccio col M5S sembrano il passato, con Berlusconi che ieri nei suoi sfoghi se l’è presa con tutti per avergli fatto «prendere una linea sbagliata». E si prepara l’ultima rivoluzione: alla Camera ieri si raccoglievano le firme per votare martedì i nuovi capigruppo, con l’okay di Berlusconi: Brunetta, nel mirino di tanti e dicono tentato perfino di lasciare il partito, si chiama fuori: «Non volevo fare il capogruppo altri 5 anni, mestiere logorante e pericoloso». Maristella Gelmini (con vice Occhiuto) è la strafavorita a succedergli, al Senato potrebbe essere il turno della Bernini. Sullo sfondo resta una FI spiazzata, ferita, in cui tutti sospettano di tutti. Giovanni Toti sembra felice quando giudica la mossa di Salvini «una accelerata salutare», al contrario in tanti si sentono esposti e non protetti perché «qui non ci tutela nessuno». E c’è chi adesso guarda a Tajani per guidare il partito e non lasciarlo nelle mani dell’«asse azzurro del Nord, che è pronto a fondersi in un partito unico con il Carroccio» perché in tanti sono ormai convinti che «Salvini ci mangerà, Lega Italia è il destino». Si guarda a Mattarella, a un governo la cui alchimia terrorizza. Anche perché tutti in FI pensano che Berlusconi di carte in mano non ne abbia più.

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