24 marzo 2018 - 22:49

Nuovo governo, le tre condizioni del Quirinale ai partiti | Qual è la partita (doppia) di Salvini e Di Maio

Mattarella chiede intese forti, programmi in linea con le emergenze e nomi di spessore

di Marzio Breda

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E ora tocca al Quirinale. Superata la dura prova di forza per eleggere i presidenti di Senato e Camera (e, dopo lo scontro, di sangue sul terreno ne è rimasto), il problema di cui è investito il capo dello Stato è molto, molto più difficile: dare un governo al Paese. Una partita che, nonostante l’euforia prodotta dalla svolta di ieri, resta complicata com’era apparsa subito dopo il voto del 4 marzo. Infatti, gli schieramenti politici che hanno portato al vertice del Parlamento Elisabetta Casellati e Roberto Fico, negano che la loro scelta rappresenti un fatto politico, ossia la nascita di una maggioranza replicabile in chiave di esecutivo. «Un’intesa non prodromica a un patto di governo», puntava i piedi una nota voluta da Silvio Berlusconi, con il silenzio-assenso della Lega.

Forse non c’è menzogna, in queste assicurazioni, almeno per il momento. Anche se di una cosa si può in realtà essere sicuri: l’asse tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio si è dimostrato saldo, per quanto saranno certo necessari altri dialoghi e negoziati a tutto campo prima di che si materializzi una concreta ipotesi da sottoporre al capo dello Stato. E questo spiega come mai, oltre che per gli ulteriori adempimenti necessari a far partire la macchina di Palazzo Madama e Montecitorio, le consultazioni sul Colle cominceranno dopo Pasqua. Martedì 3 aprile. Una pausa di riflessione utile a tutti, i dieci giorni di respiro. Non a caso Sergio Mattarella teme che un solo giro dei partiti nel suo studio possa non bastare e quindi mette in preventivo tempi non brevi. Non forzerà la mano, insomma, e non contrasterà le ambizioni dei vincitori. Tuttavia si aspetta chiarezza su tre aspetti per lui cruciali: 1) le alleanze politiche, che vuole con numeri larghi, per garantire alla maggioranza di governo «prospettive non a termine»; 2) i programmi, che si aspetta coerenti con le emergenze nazionali (ad esempio, come conciliare la lotta alla povertà all’equilibrio dei conti pubblici?), e con gli impegni europei del Paese; 3) gli uomini, nel senso che si concederà un vaglio stringente sul profilo di chi si candiderà al ruolo di presidente del Consiglio, prima di affidargli un incarico.

Di questo suo «esame» Mattarella ha fatto brevemente cenno ai tre ospiti che sono saliti al Quirinale. I primi due, Elisabetta Casellati e Roberto Fico, divenuti seconda e terza carica dello Stato, in rituale ed emozionata visita di cortesia. Il terzo, Paolo Gentiloni, presentatosi a rassegnare le dimissioni in coincidenza con l’insediamento delle nuove Camere, essendo lui espressione del vecchio Parlamento che gli aveva dato la fiducia. Naturalmente, e da prassi, è stato pregato di restare in carica «per il disbrigo degli affari correnti», come si dice. Il presidente della Repubblica ha tenuto a ringraziarlo «per il buon lavoro svolto»: un impegno che il premier ha onorato in piena sintonia con il Colle, dove ha trovato un interlocutore con una sensibilità culturale e politica e un’educazione assai simile alla sua. Adesso, pure a Palazzo Chigi scatta una supplenza che potrebbe trascinarsi abbastanza a lungo. Per intenderci: se nessun partito fosse in grado di assicurare una maggioranza parlamentare e se il presidente decidesse di riportare gli italiani alle urne, a condurre il Paese al voto ci sarebbe ancora l’esecutivo di Paolo Gentiloni. È un’ipotesi davvero remota, stando alle dichiarate aspirazioni del capo dello Stato. Che, si sa, non si rassegna neppure alla variabile di cui si parlava parecchio a Montecitorio, ieri: varare un governo 5 Stelle-Lega per fare la Finanziaria e riformare la legge elettorale e poi tornare di corsa alle urne. Prospettiva che magari risponderà agli interessi di quei due partiti, si ragiona sul Colle, ma non certo a quelli dell’Italia.

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