Roma

Roma, caso San Giacomo: l'ospedale fantasma chiuso da dieci anni. "Qui niente alberghi"

Il portone tra via del Corso e via Ripetta resta sbarrato dal 2008. Il progetto di una residenza per anziani osteggiato dagli eredi

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Un gigante vuoto e abbandonato da nove anni. Eccolo il San Giacomo degli Incurabili, come si chiamava, classe 1339, con il portone chiuso nel 2008, dopo una lunghissima storia, dall’allora presidente della Regione Piero Marrazzo, in nome dell’efficienza e della razionalizzazione dei distretti sanitari romani. Curava gli affetti da sifilide che arrivavano dal Nord e quelli rifiutati dagli altri ospedali, ma ora è proprio lui a subire la sorte del “rifiutato”, con migliaia di metri quadrati inutilizzati a cento passi da piazza del Popolo, nel cuore del Tridente, con i suoi 130 posti letto dirottati su altri ospedali.

E pensare che la Regione, poco prima della chiusura ne aveva ristrutturati 32 mila metri quadrati. Ma ora, a parte l’ambulatorio aperto nei vecchi locali di via Canova, è il regno del nulla. E sul regno del nulla pende anche un antico testamento, quello del cardinale Antonio Maria Salviati, che nel 1562 lo donò a Roma, ma con la clausola che rimanesse un ospedale. Così, in attesa di un’utilizzazione, rimangono i lavori di manutenzione da fare, come quelli del 2013 per ricostruire il tetto. Non solo. Dietro c’è anche un nodo di Gordio finanziario. Infatti nel 2002 l’allora presidente della Regione Storace, per far quadrare i conti della sanità in rosso, creò una società, la San. Im Spa, alla quale furono venduti 56 ospedali laziali, tra cui il San Giacomo, a un prezzo di 1.949 milioni di euro. San. Im. ha quindi ceduto alla società Cartesio i crediti vantati verso le Asl e le aziende ospedaliere per il pagamento dei canoni di affitto. E quindi Cartesio ha emesso titoli sul mercato, incassando fondi per pagare a San. Im. i crediti ceduti.

Si voleva naturalmente risanare il debito della sanità del Lazio, però la Regione adesso deve pagare, fino al marzo 2033, un canone d’affitto per gli immobili venduti alla San. Im di quasi 90 milioni l’anno. E di questi per il San Giacomo in particolare continua a pagare, e continuerà a farlo, quasi 2 milioni. Nel frattempo però l’ospedale rimane chiuso. “Con la sottoscrizione dell’operazione San. Im” spiega l’assessore al Bilancio Alessandra Sartore “è stato cristallizzato per trent’anni il patrimonio immobiliare sanitario, ma non è possibile lasciare il San Giacomo bloccato per altri dodici anni. Richiede infatti importanti interventi di ristrutturazione, che possono essere individuati nell’ambito di forme di valorizzazione che tengano conto della storia e della tradizione dell’ospedale. Proprio per questo motivo ci stiamo confrontando con i principali detentori delle obbligazioni San. Im, per arrivare a un accordo che consenta lo svincolo del San Giacomo”.

“Non ci discosteremo comunque dalle originali finalità sociosanitarie” assicura l’assessore “Ad esempio con la trasformazione in una residenza per anziani, come in tante città del nord Italia e del nord Europa, sempre nell’ambito pubblico. Non ci saranno alberghi”. “Noi abbiamo mandato una diffida al presidente della Regione, al ministro degli Interni, al presidente del Senato Grasso e alla Corte dei Conti” ribatte l’erede del cardinale Oliva Salviati, che nel 2008 fece arrivare anche un appello a papa Benedetto XVI “per far rispettare il testamento e i vincoli della cartolarizzazione degli ospedali laziali. Non è possibile trasformare il San Giacomo in residenze per anziani pubbliche, perché, proprio in virtù del testamento e anche delle clausole di vendita alla San. Im, deve tornare ad assere un ospedale pubblico, il cui uso è stato sottratto ai romani in modo non legittimo. Oggi i pazienti gravi spesso vengono portati in elicottero alle terapie intensive dell’ospedale di Pisa perché a Roma non ci sono posti. Si pensi cosa potrebbe succedere in caso di un attacco di terroristi”. “Il San Giacomo” afferma Franz Prati, professore ordinario progettazione architettonica, che ha coordinato una serie di studi sulla struttura esposti alla Biennale di Architettura di Venezia “è un vero e proprio organismo urbano, a ridosso di Campo Marzio, piazza Augusto Imperatore e piazza del Popolo. Riutilizzarlo e farlo rivivere è un dovere”.