Roma

Roma, Money transfer la rotta d’oro verso la Cina

Ogni giorno migliaia di mini operazioni da 999 euro. E così i grandi capitali vengono trasferiti senza controllo

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Non solo contraffazione e non solo pizzo chiesto ai connazionali commercianti: la mafia cinese muove le sue pedine su una scacchiera molto complessa.
Fatta di una matrioska di società spesso usate come copertura ad imprese della malavita romana su cui gli inquirenti hanno già messo gli occhi. Così, ad esempio, i clan di Roma per allontanare ogni sospetto dal giro delle sale scommesse, con un regolare atto notarile, cedono tutto al ricco manager orientale che, all’apparenza, diventa il socio unico dell’attività. Guarda caso però i dipendenti assunti sono quelli che prima ne erano i gestori.
 
Emblematica la situazione della sala scommesse di via Costanzo Casana a Ostia passata di mano da quelli che nell’ordinanza Alba Nuova della squadra mobile venivano indicati come i delfini dei fratelli Triassi (assolti da ogni accusa, compresa quella per mafia) a un gestore cinese e che 2 settimane fa è stata chiusa su ordinanza del questore di Roma perché frequentata da pregiudicati. Uno dei dipendenti dietro al banco, fino alla fine di febbraio, era colui che, nella prima gestione ne era socio a tutti gli effetti.
 
Che esista la Triade, la cui solidità è garantita appunto da complicità con le mafie nostrane, è evidente, secondo gli inquirenti. E lo dimostra uno dei tratti distintivi della criminalità organizzata: la movimentazione di flussi di denaro enormi. La quantità di ricchezza esagerata accumulata da cittadini asiatici è comprovata da una serie di operazioni delle forze dell’ordine. L’ultima in ordine di importanza è del 2013 quando il nucleo speciale valutario della guardia di finanza, eseguì, su ordine della Dda di Roma, 18 ordinanze di custodia cautelare per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio. La base logistica della holding asiatica era proprio a Roma e illegalmente, attraverso alcuni money transfer della città, trasferiva all’estero, ovvero in Cina, le somme di denaro.
L’indagine nacque nel 2011 proprio da un’analisi attenta di rischio riciclaggio da parte del nucleo speciale valutario che rilevò la forte incidenza della comunità cinese, nello specifico tra l’Esquilino e Torpignattara. Gli invii di denaro all’estero parlavano da soli, miliardi di euro inviati in Cina il cui picco si registra tra 2011 e 2012, malgrado la normativa sull’antiriciclaggio.
 
Che nell’agosto del 2011 fissava la soglia dei 5000 come massimale da inviare, nel 5 dicembre 2011 scese a 2500 e nel 2012 si abbassò a 1000. Fatta la legge trovato l’inganno. Perché allora, come oggi, si registrarono una miriade di mini invii per eludere la tracciabilità del contante: versamenti da 999 euro verso l’oriente. «Ricordo che in un money transfer – spiega uno degli investigatori del nucleo valutario che partecipò all’operazione – in un giorno furono fatte 500 operazioni per circa mezzo milione. La cosa curiosa, accertarono le telecamere, fu che vennero fatte dallo stesso imprenditore orientale».
Un “fiume di denaro”, questo peraltro fu il nome dato a quell’indagine, che spariva in Cina senza alcun controllo. Al centro dell’indagine, durata due anni, la Sigue, ex money transfer con sede a Londra. Le sette filiali romane raccoglievano le donazioni di fittizi imprenditori cinesi, provento di reati e merce contraffatta, e in Italia non restava poi traccia di quelle ricchezze. Nulla infatti veniva dichiarato al fisco.
( 2.continua)