Roma

Latina, estorsioni e droga e reati elettorali: 20 arresti tra clan rom. "Mafia autoctona"

Per la prima volta in territorio pontino viene riconosciuta l'esistenza di un'associazione mafiosa non legata a gruppi criminali siciliani, calabresi o campani

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C'è una mafia tutta pontina. Nata e cresciuta nella seconda città del Lazio. Non una semplice evoluzione di camorra, 'ndrangheta o cosa nostra. Una mafia autoctona. Proprio come gli Spada a Ostia. E infatti, anche a Latina, parla la lingua dei rom. Le famiglie nomadi che da tempo si sono stabilite lì di cognome fanno Di Silvio, e sono diventate via via sempre più potenti e che da tempo già hanno incassato condanne in cui sono state inquadrate come un'associazione per delinquere, sono diventate un'associazione per delinquere di stampo mafioso.

Non solo spaccio, estorsioni, violenze, il clan dei Di Silvio tentò anche di inquinare il voto nelle elezioni amministrative del 2016 nei comuni di Latina e Terracina. Dalle indagini sono emersi casi di compravendita di voti: gli esponenti del clan avrebbero costretto molti tossicodipendenti a dare la propria preferenza in favore di alcuni candidati (poi non eletti) alle comunali di Latina ricevendo in cambio circa 30 euro a voto. I candidati eletti li avrebbero poi ricompensati.

Sono queste le convinzioni della Direzione distrettuale antimafia di Roma che, alla luce delle indagini svolte dalla Polizia di stato su tali clan, mai interrotte dal 2010 ad oggi, ha chiesto e ottenuto oltre venti arresti. In manette così oggi, con un blitz che ha impegnato oltre 250 agenti, componenti e fiancheggiatori del cosiddetto clan Di Silvio, famiglia di origine nomade espressione in terra pontina dei Casamonica di Roma, con cui è legata da molteplici e profondi legami familiari.

Latina, blitz al clan Di Silvio: 25 arresti. "Tentarono di inquinare il voto"

Nell'inchiesta denominata "Alba Pontina" l'attenzione degli inquirenti si è concentrata sugli affari portati avanti dal clan che ha il proprio quartier generale nel quartiere di Campo Boario, alle porte di Latina. Le accuse vanno appunto dall'associazione di stampo mafioso al traffico di sostanze stupefacenti, le estorsioni, la violenza privata, il favoreggiamento, l'intestazione fittizia di beni, il riciclaggio e anche i reati elettorali, come contestato dal codice antimafia, tutti aggravati dalle modalità mafiose. Già in passato del resto erano emersi numerosi intrecci tra le famiglie nomadi, i Di Silvio in primis, e diversi politici di Latina, che avrebbero sfruttato la forza del clan e allo stesso tempo concesso al gruppo criminale una lunga serie di illeciti vantaggi.

Con il blitz scattato oggi per la prima volta in terra pontina viene riconosciuta l'esistenza di un'associazione mafiosa autoctona, non legata alle organizzazioni tradizionali. Il Tribunale di Latina è stato il primo del Lazio ad emettere sentenze di condanne per mafia poi diventate definitive. Lo ha fatto con i processi "Anni '90", "Damasco" e "Sfinge". Si trattava però di associazioni di stampo mafioso nate e cresciute sul territorio ma con solidi legami con i Casalesi o con la 'ndrangheta, un'evoluzione di quelle organizzazioni. Questa volta, come è stato per gli Spada a Ostia, ad essere inquadrati come mafia sono i rom passati dai piccoli furti a un'organizzazione in grado di competere con i clan casertani o calabresi.

E tra i destinatari delle misure cautelari vi sono anche sette donne, una delle quali inquadrata come ai vertici del clan. Proprio come già avvenuto nell'inchiesta, relativa sempre ai Di Silvio e ai Ciarelli, denominata "Caronte" e finita con pesanti condanne.

Gli inquirenti specificano anche che gli autori delle numerose estorsioni compiute nel capoluogo pontino, effettuate con metodi particolarmente violenti e vessatori come avviene nelle mafie tradizionali, spendevano sempre il nome dei Di Silvio per amplificare il potere di intimidazione, con tanto di riferimento alla destinazione del denaro richiesto, necessario al mantenimento dei carcerati e delle loro famiglie, o richiamando episodi cruenti risalenti alla cosiddetta guerra criminale del 2010, quando le famiglie rom si imposero sui altri gruppi criminali di Latina. Una vicenda quest'ultima che iniziò con il tentato omicidio di Carmine Ciarelli, a capo dell'omonima famiglia nomade, a cui fecero seguito nel giro di meno di 48 ore due omicidi di appartenenti alla cosiddetta fazione non rom, Massimiliano Moro e Fabio Buonamano. Ma da quel momento sono iniziate anche indagini culminate negli arresti di oggi.