Come sarà la nuova guerra tre Israele e Hezbollah

BEIRUT – Naturalmente, mi auguro di sbagliarmi, ma seguendo gli sviluppi politici della regione e particolarmente della guerra siriana è difficile sfuggire alla sensazione che stiamo alla vigilia di una nuova esplosione della quarantennale animosità israeliana nei confronti del Libano.
Se dovesse malauguratamente succedere, sarebbe la terza volta, dopo l'invasione del 1982 e la guerra dell'estate 2006 (14 Luglio-17 Agosto) di un attacco israeliano contro il Libano. Senza contare le molte “Operazioni”, che erano poi vere e proprie campagne militari ma di portata più limitata che si sono succedute dalla seconda metà degli Anni '70 in poi (Operazione “Litani”, 1978 ; Operazione “Accountability”, 1993; Operazione “Grapes of Wrath”, 1996), prima contro l'Olp di Yasser Arafat e poi contro Hezbollah, il Partito di Dio filo iraniano sorto nel 1985, le cui milizie armate e finanziate da Teheran, hanno conquistato il monopolio della lotta, loro preferiscono chiamarla “Resistenza”, contro lo stato ebraico.
A differenza dell' Olp, nazionalista e laica (fra le varie organizzazioni rivoluzionarie del mondo arabo fu la prima a concedere alle donne pari dignità di combattenti), Hezbollah, di credo sciita e radicale, s'è dimostrato nei confronti d'Israele un nemico assai più coriaceo, i cui miliziani sono disposti a combattere fino al sacrificio della vita. D'altro canto, Israele non ha mai fatto sconti ai dirigenti del partito di Dio che considera, in blocco, terroristi, da eliminare.
Fatto sta che l'esercito israeliano non ha mai avuto vita facile contro le milizie di Hassan Nasrallah, il Segretario generale di Hezbollah, salito al potere nel 1992, dopo che il suo predecessore, Abbas al Mussawi, venne ucciso da un missile israeliano assieme alla sua famiglia. Al punto che nella primavera del 2000, al culmine di una lunga e sanguinosa guerra d'attrito, l'esercito israeliano e la milizia mercenaria SLA, ovvero, esercito del Libano del Sud, dovettero ritirarsi della cosiddetta “fascia di sicurezza” ritagliata in territorio libanese per tenere il più possibile lontani dal confine i miliziani Hezbollah.
Sei anni dopo, il 14 luglio del 2006, con incredibile mancanza di preparazione accoppiata a molta presunzione, Israele attaccò Hezbollah, prendendo a pretesto il rapimento di due soldati (che in realtà erano già stati uccisi) nel corso di un incidente al confine, una reazione che tutti i protagonisti del conflitto avrebbero a posteri considerato sproporzionata.
A quel tempo gli strateghi occidentali celebravano le guerre aeree, emulando l'esperienza maturata dagli americani nella Seconda Guerra del Golfo (2003) contro un Iraq senza aviazione né difesa antiaerea. Anche Israele s'illuse di piegare la resistenza di Hezbollah senza dover mettere piede sul terreno roccioso e pieno d'insidie del sud del Libano. I villaggi dove si nascondevano gli Hezbollah vennero bombardati ferocemente, importanti infrastrutture al servizio di tutto il paese (strade, ponti, rete elettrica, depositi petroliferi) furono distrutti, per spingere il governo di Beirut a schierarsi contro il partito di Dio. I bombardieri israeliani colpirono duramente anche la banlieue a Sud Beirut, roccaforte Hezbollah, nella speranza di scovare e uccidere Nasrallah. Ma la guerra che Condoleeza Rice definì trionfalmente “le doglie del parto di un nuovo Medio Oriente”, dolorose ma indispensabili (specialmente se sopportate da altri), si risolse in un fallimento clamoroso.
Le milizie Hezbollah resistettero agli attacchi aerei israeliani e diedero fondo al loro arsenale missilistico, lanciando centinaia di katusha contro il nord d'Israele e seminando il panico tra la popolazione, costretta a fuggire verso sud. Restio a sopportare perdite di vite umane oltre un certo limite (120 furono i soldati israeliani uccisi e 43 i civili, contro 450 miliziani e più di 850 civili libanesi) lo Stato ebraico accettò il cessate il fuoco proposto dall'Onu. Tanto per non chiamare le cose con il loro nome, un giornale di Tel Aviv parlò della guerra del 2006 contro Hezbollah, come “la prima guerra che Israele non ha vinto”.
Da 11 anni a questa parte, questo atteggiamento di frustrazione è rimasto una costante nei commenti israeliani, quando si accenna al Libano. Inoltre c'è sempre qualche parte interessata, di solito legata agli ambienti dell'estrema destra, disposta ad aggiungere che “la prossima volta il Libano sarà riportato all'età della pietra”. Insomma, nell'immaginario collettivo, c'è un ansia di rivincita e una sorta di presunzione di certezza sulla inevitabilità della guerra.
Aspettativa che il quadro politico attuale ha reso quanto mai realistica oltre che pericolosa. Basta volgere lo sguardo in direzione dell'altopiano del Golan, quel trafficatissimo crocevia tra Siria, Libano, Giordania e Israele, che proprio Israele Occupa per metà, dalla guerra del '67, e per metà è rimsto territorio siriano, per scorgere segnali allarmanti, accompagnati da ancora più allarmanti proclami.
Il punto da cui dobbiamo muovere è che la guerra contro il regime di Bashar el Assad, sta andando in direzione ostinata e contraria, direbbe il poeta, agli interessi e ai desideri di israeliani e americani. I quali israeliani e americani hanno visto in questa guerra non tanto e non solo uno strumento per abbattere il regime autoritario siriano (con cui, tuttavia, Israele aveva convissuto per quasi trent'anni senza che sul Golan conteso volasse una mosca), ma un'arma per colpire e bloccare l'espansionismo dell'Iran in Medio Oriente. Espansionismo incontestabile nei paesi dove è forte la componente sciita (Iraq, Libano), ma a cui hanno fatto da contrappeso le ambizioni di comando su tutta la componente sunnita del mondo islamico manifestate dall'Arabia Saudita, anche attraverso la mobilitazione della propaganda religiosa anti sciita.
Ma l'equazione colpire Assad per ridimensionare Teheran, non ha funzionato. Con l'aiuto dei Pasdaran iraniani, delle milizie sciite libanesi e irachene e, soprattutto, con l'appoggio dell'aviazione e degli armamenti russi, dopo sei anni di guerra, il Rais di Damasco è ancora al suo posto e l'Iran ha se possibile rafforzato il suo ruolo nella regione, inutilmente contrato dalla Potenza del Golfo, costretta a cercare un accordo economico e militare con la Russia per invertire la tendenza al ribasso dei prezzi del petrolio (decisa a suo tempo per danneggiare l'Iran) e scongiurare la bancarotta.
E dunque, non si può non vedere l'offensiva condotta all'unisono dal premier Netanyahu e dal presidente Trump diversamente da un gioco di squadra, con Trump che, facendo sua la strategia da tempo inutilmente suggerita da Netanyahu (change it, or cancel it) getta alle ortiche l'accordo sul nucleare iraniano sottoscritto da Obama, e con Netanyahu che suona la carica affermando che “Israele non permetterà all'Iran di posizionare le sue strutture militari a ridosso del nostro confine”.
Per ora, è la Russia a garantire che il ruolo dell'Iran in Siria non si trasformerà in una minaccia diretta contro lo Stato ebraico. Giocoforza, Putin non può fare altro che girarsi dall'altra parte quando Israele lancia i suoi aerei contro i convogli di armi, o presunte tali, diretti a rafforzare l'arsenale Hezbollah. Cosa che (secondo una fonte israeliana) ha fatto per un centinaio di volte negli ultimi tre anni
Colpire Hezbollah per colpire l'Iran sembra essere la nuova equazione strategica, e di nuovo è gioco di squadra. Mentre il ministro della Difesa Lieberman, modificando l'originario assunto dell'Esercito israeliano, accusa Hezbollh di aver lanciato cinque missili contro il Golan su ordine “diretto e personale” di Nasrallah, non involontari ordigni vaganti, dunque, ma una provocazione voluta, Trump rispolvera la memoria a lungo rimossa dell'attentato suicida contro l'accampamento dei Marines, presso l'Aeroporto di Beirut del 1983, in cui morirono 220 militari americani, attentato, attribuito alla Jihad islamica, un gruppo armato vicino a Hezbollah. A quel tempo il Partito dei Dio non era ancora nato e tuttavia: “Noi non dimenticheremo”, dice Trump, mentre i funzionari dell'Amministrazione istruiscono la pratica per far dichiarare Hezbollah, assieme alle Guardie della Rivoluzione iraniane, organizzazioni terroristiche
Naturalmente, in questo sferragliare di cingoli, c'è chi si chiede che guerra sarà, se ci sarà, la nuova guerra; se essa scoppierà tra Israele e Hezbollah, o tra Israele e il Libano nel suo insieme, con l'Armèè accanto alle milizie sciite. Se Israele ha imparato la lezione del 2006 o se commetterà gli stessi errori, sottovalutando la preparazione del nemico. Se si affiderà di nuovo all'aviazione, o se, invece, non rispolvererà il modello del 1982, penetrando a fondo nel territorio libanese per costringere Hezbollah a venire allo scoperto ed impegnarsi, ipotesi assai improbabile, in una conflitto convenzionale. Ma speriamo che queste restino soltanto ipotesi.

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2 commenti

  • Israele dai vostri articoli sembra sempre la causa di tutti i mali del mondo.
    Come se non sapeste che Hezbollah ed Hamas hanno come obiettivo la distruzione di Israele e che, se vincessero, ucciderebbero uomini donne e bambini cacciando a mare i pochi superstiti.

  • rramella è un personaggio da libro Quore...( nessun refuso)