29 marzo 2018 - 11:24

Terrorista Isis, l’ira del padre e della sorella: «Ci giurò di non farlo più»

A Lanzo nella casa di Elmahdi Halili arrestato con l'accusa di jihadismo. «Siamo pentiti, perché dovevamo mandarlo via prima»

di Simona Lorenzetti

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In vetta a una scalinata in pietra, dietro le sbarre di un cancelletto azzurro che conduce a un ballatoio, c’è la casa in cui viveva El Madhi Halili. Siamo a Lanzo, piccolo paese di 5 mila anime in mezzo a una verde vallata. Sono le sei del mattino quando gli uomini della Digos suonano al campanello dell’abitazione della famiglia Halili. Ad aprire la porta è il padre del giovane, Mohamed. Il volto dell’uomo, segnato dagli anni di lavoro e dalle lunghe ore nei cantieri a spezzarsi la schiena per dare un futuro ai suoi figli, si fa improvvisamente scuro. La polizia è di nuovo lì, come nel 2015. Ancora una volta la sua casa viene violata per colpa di quel primogenito ribelle, ossessionato dalla fede islamica e che sul web si presenta come «il profeta dell’Isis».

«Ci aveva giurato che non lo avrebbe fatto mai più», sbotta il padre lasciando trasparire tutta la sua rabbia e un’infinita tristezza per un destino ormai segnato. L’uomo segue gli agenti in Questura. Durante il viaggio Mohamed ripercorre gli ultimi tre anni del figlio, le lunghe ore trascorse davanti al computer, la lettura compulsiva di riviste scritte in arabo e la costanza con cui traduceva gli slogan lanciati dai seminatori di odio come Anwar Al-Awlaki. E nella mente dell’anziano uomo riaffiorano all’improvviso le liti e i momenti difficili di una convivenza forzata. Più volte avrebbe voluto cacciare il figlio di casa. «Sono pentito, dovevo mandarlo via anni or sono» ammette con gli agenti. Mohamed in cuor suo sapeva che sarebbe finita così, ma non pensava che il figlio avesse alzato il tiro, che la lezione del 2015 non gli fosse bastata e che la sua azione di proselitismo fosse diventata nel frattempo una missione.

Un vortice di pensieri interrotto dall’immagine di El Madhi in manette negli uffici della Digos e dalle parole pronunciate da quel ragazzo ormai irrecuperabile. «Tiranni che non siete altri. Vado a testa alta in prigione nel nome di Allah», pronuncia il giovane guardando dritto negli occhi i poliziotti che lo ammanettano e lo accompagnano in cella. E mentre il profeta dell’Isis viene portato via, gli uomini dell’antiterrorismo rovistano nella vecchia casa dove tutto è cominciato. Un perquisizione attenta sotto gli occhi atterriti della madre e della sorella minorenne. Un nuovo incubo per loro. Era già stata dura tre anni fa. Era stato difficile affrontare gli sguardi di sospetto dei vicini di casa, dei negozianti, dei compagni di scuola. Il ricordo di quei bisbigli maliziosi è ancora fresco nella loro memoria. «Tre anni fa ci ha distrutto la vita e adesso ricomincia tutto daccapo», si sfoga dal balcone la sorella diciassettenne alla vista dell’assedio dei giornalisti. La madre è barricata in casa, lei si affaccia in pigiama e urla: «Andate via. Noi non abbiamo più nulla a che fare con mio fratello. Ci ha rovinato la vita. Lasciateci in pace». Chiedono di essere dimenticati, che venga messa distanza tra loro ed El Madhi. «Noi non siamo come lui — insiste l’adolescente —. Abbiamo una vita normale. Noi non odiamo». In paese in pochi hanno voglia di parlare del terrorista della porta accanto. «La sera quando rientravo dal lavoro era sempre in cortile che giocava a pallone. Era sempre solo, così facevo due tiri con lui — racconta un vicino di casa —. Era un bravo ragazzo, ma era sempre isolato. Forse la mancanza di amici lo ha portato sulla cattiva strada». Una solitudine che El Madhi combatteva fin da bambino. «I compagni lo isolavano», racconta la sindaca di Lanzo, Ernestina Assalto, che qualche anno fa insegnava alle medie e aveva avuto il giovane come allievo in occasione di alcuni laboratori. «Stava sempre in disparte e spesso i compagni lo prendevano in giro. Non socializzava, era incline alla protesta come molti adolescenti». Un’immagine che arriva dal passato e che stride con lo sguardo fiero con cui inneggia ad Allah mentre entra in carcere.

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