5 aprile 2018 - 16:19

Lia Varesio, la donna gentile che per prima si occupò dei clochard

Ci accomunava l’obiettivo di restituire la dignità agli ultimi della società

di don Luigi Ciotti

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Cosa direbbe, ma soprattutto cosa farebbe Lia Varesio, di cui ricorre il decennale dalla morte, se vedesse quante persone oggi a Torino, come in tante altre città italiane e europee, faticano a vivere, piegate da bisogni essenziali che non trovano risposta? Cosa direbbe vedendo che, nel progressivo assottigliarsi di quello che un tempo veniva definito «ceto medio», si è fatto più numeroso e variegato il popolo della strada a cui ha dedicato la vita? Lia si darebbe da fare, semplicemente, moltiplicando gli sforzi, le occasioni di incontro, le presenze nelle strade e negli angoli della città.Cavando energie supplementari dal suo fisico minuto e fragile, e attingendone altre dalla convinzione che essere persone e cittadini significa sentire i problemi degli altri come se fossero i nostri, perché se manca questa empatia, questa capacità di mettersi nei panni degli altri, la società di sfalda, diventa una costruzione astratta, un aggregato di individui legati solo da rapporti privati d’interesse, incuranti del bene comune.

Di quest’empatia Lia era dotata al massimo grado. Ma sarebbe riduttivo considerarla solo come un moto del cuore, uno slancio sentimentale. Lia era una donna molto lucida, esigente e anche intransigente, e lo era innanzitutto con i suoi amici della strada, verso i quali non indulgeva ad atteggiamenti pietistici. Sapeva che i poveri non chiedono «beneficenza», ma dignità. E lei quella dignità si faceva in quattro per metterli in condizione di ritrovarla. Ha avuto la fortuna di avere come interlocutore, nelle istituzioni, un sindaco della levatura di Diego Novelli. Fu lui a chiamarla al «servizio adulti in difficoltà» (e devo confessare che anch’io ebbi parte nella decisione di Lia di accettare la proposta lasciando il suo posto in Fiat) e a sostenerla nell’attività della «Bartolomeo&C», la realtà che dal 1979, con straordinaria generosità ed efficacia, si occupa delle persone senza fissa dimora a Torino. Fortuna di poter dialogare con una politica al servizio del bene comune, fedele ai principi della Costituzione e alle responsabilità che essa ci assegna, consapevole che bisogna contrastare non i poveri e tutte le persone che rientrano in quest’ormai vasta categoria — i giovani, gli anziani, gli immigrati, i disoccupati — ma un sistema economico che genera disuguaglianze schiacciando in nome del profitto le speranze e i bisogni di milioni di persone. Diverse cose ci accomunavano: l’essere entrambi del 1945 e l’aver vissuto la Torino del dopoguerra, con i drammi e le speranze dell’immigrazione, la crescita economica e le prime piaghe sociali della «società di massa»: le droghe, l’alcolismo, il mercato della prostituzione.

L’ammirazione per Michele Pellegrino, il vescovo che nel 1972 mi ordinò sacerdote affidandomi come parrocchia «la strada», una delle figure più luminose della recente storia della Chiesa; nonché il fatto che, sia pur in epoche diverse — nel 1965 e nel 1979 — il Gruppo Abele e la «Bartolomeo&C» siano partiti dalla strada e con umiltà e determinazione abbiano cercato di rispondere alla domanda che la strada non smette di porci: «Cosa fare affinché tutte le persone abbiano una casa, un lavoro, una dignità e smettano di essere considerate un numero, una cosa, una merce di scarto?». Cosa significa ricordare oggi Lia, a dieci anni dalla morte? Significa porci tutti con forza questa domanda — politici e amministratori, imprenditori e semplici cittadini — senza dimenticare che, assieme al visibile, è cresciuto in questi anni il disagio invisibile, quello che si nasconde dietro i muri delle case e che colpisce anche le persone economicamente garantite. Disagio che ha le sue radici nella disgregazione del legame sociale, nell’emergere di solitudini e di fragilità, in fratture dell’anima a cui certo non può porre rimedio la «digitalizzazione dell’esistenza», la costruzione di comunità virtuali dove il contatto viene scambiato per relazione, e il giudizio e il pregiudizio spesso prevalgono sulla comprensione e la condivisione. Ridiventare insieme umani: ecco cosa ci chiede la memoria di Lia, piccola donna di enorme umanità.

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