28 marzo 2018 - 17:36

«Io, regista di Masterchef: altro che cibo, è un programma di cinema»

È Umberto Spinazzola, torinese doc. «Il montaggio così serrato è la cifra che più caratterizza la trasmissione. E inquadrando le lancette in movimento otteniamo quella suspence che fa la differenza». In autunno sarà in città per dirigere un film

di Fabrizio Dividi

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Umberto Spinazzola
Umberto Spinazzola

Prendi un duello alla Sergio Leone, montalo come farebbe Sergej Ejzenštejn e otterrai Masterchef Italia. Umberto Spinazzola, torinese doc, è il regista di una delle trasmissioni cult dell’ultimo decennio; il cinema è il suo pane, da sempre, e i risultati si vedono.

Ci parli dei suoi inizi.
«Ho cominciato la mia carriera nella casa di produzione Rolfilm, storica bottega del cinema torinese dove frequentavo registi come Carlo Ausino e Mimmo Calopresti. La mia gavetta è cominciata a meno di vent’anni, prima assistente e aiuto regista, e poi tanta pubblicità».

Cosa significa per lei il cinema?
«Una passione. Si concretizza nel ‘96 con «Cous Cous», film sulla musica che aveva già il cibo nel nome. Ma è l’esperienza con gli spot, molti dei quali sul food, che mi porta a diventare regista di tutte le sette edizioni di Masterchef Italia».

Com’è riuscito a creare un suo stile all’interno di un format così rigoroso?
«Proprio grazie alle mie esperienze precedenti. Gli espedienti per valorizzare il cibo mi arrivano dalla pubblicità. Ma è il cinema ciò da cui mi faccio ispirare».

Francis Ford Coppola parla del montaggio come alchimia della combinazione delle emozioni umane. E quell’onnipresente orologio sembra uscito da un film di Alfred Hitchcock…
«Senza false modestie, Masterchef è un po’ tutto questo. Tra le tante tecniche cinematografiche utilizzate, il montaggio così serrato è la cifra che più ci caratterizza. E con quelle lancette in movimento riusciamo a ottenere quella suspence che fa la differenza».

Poi c’è la sceneggiatura che parte dal reale. Venti storie che generano centinaia di ore di girato e che devono produrre un racconto fluido e intrigante.
«Glielo assicuro, non ci sono canovacci preordinati. Saper ricavare una narrazione coerente non è facile, ma anche questo è cinema e il pubblico lo percepisce con chiarezza. Non siamo una tv di plastica».

Valerio Braschi, 19 anni, vincitore 2017 di Masterchef Valerio Braschi, 19 anni, vincitore 2017 di Masterchef

E la musica?
«Con un sound design unico nel suo genere abbiamo fatto scuola e anche in questo campo vantiamo innumerevoli tentativi d’imitazione. Negli anni abbiamo citato molti film ma non esiste una regola fissa. Cerchiamo di rinnovarci a ogni edizione: rischiamo sempre nuove strade e quest’anno abbiamo rinunciato a qualche citazione prediligendo library di qualità».

Il merito di un successo così prolungato?
«La televisione per distinguersi deve essere di alto livello. Inoltre Sky ha costruito una squadra da serie A. Giudici a parte, penso al direttore della fotografia Matteo Bosi e alla capo-progetto Paola Costa che sono vere eccellenze nei loro rispettivi campi. Ma non tralascio un pool di montatori eccezionali. Insieme formiamo un gruppo davvero affiatato».

Ci descriva l’essenza di Masterchef in una puntata.
«Le prove in esterna sono quelle che lasciano più spazio all’inventiva e alla creatività. Il pubblico lo percepisce e apprezza. Una delle nostre regole è quella di scegliere un luogo non solo per la sua bellezza scenografica, ma soprattutto per il suo legame culturale e storico con il cibo. In questo senso non dimenticherò mai la puntata piemontese della scorsa edizione girata all’interno del suggestivo Castello di Guarene alla presenza di un club unico nel suo genere. La Confraternita del Bollito e della Pera Madernassa da trent’anni protegge la tradizione centenaria del gran bollito misto alla piemontese, oltre che conservare la tradizioni popolari delle terre del Roero e valorizzare e tramandare la cucina di questa zona. L’immagine del Gran Priore della Confraternita che enuncia i 7 tagli di carne del bollito perfetto, per quello che è il contesto di Masterchef, sfiora davvero la perfezione».

Pensa di tornare ai suoi primi amori: Torino e il cinema?
«Torino è e rimarrà la mia città. Forse non sarò stato profeta in Patria, ma una casa qui l’ho sempre mantenuta. E poi, finalmente, tornerò anche a girarvi un film. Sarà prodotto da La Sarraz Pictures, importante casa di produzione locale, e con il supporto di Fip Piemonte e Torino Film Commission. In autunno dovrebbero cominciare le riprese.» Tema? «Il cibo, ovviamente. Insieme al cinema, è la mia vera ossessione; totalizzante e viscerale».

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