Torino

Ventuno condanne per due gruppi della mafia nigeriana a Torino

Le pene variano da 10 a 4 anni, tra i reati droga e sfruttamento prostituzione
 

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Il tribunale di Torino ha riconosciuto l'esistenza del vincolo di associazione mafiosa che lega gli imputati nigeriani mandati a processo dal pm Stefano Castellani, che sono stati condannati in totale a 140 anni di carcere. Un'imputazione aggravata dalla trasnazionalità poiché il giudice ha riconosciuto il legame dei due gruppi, gli Eiye e i Maphite, con la "casa madre" in Nigeria. Si tratta di una circostanza che raramente è stata fatta valere per le organizzazioni criminali composte da cittadini stranieri. Il processo si è celebrato con rito abbreviato e il gup Stefano Sala ha emesso una sentenza che include 21 condanne, con pene che variano dai 10 anni ai 4 anni e 2 mesi, e un'assoluzione. Alla sbarra c'erano due gruppi della mafia nigeriana attiva a Torino e provincia, accusati di vari reati fra cui favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, estorsione e delitti in materia di stupefacenti contendendosi soprattutto la zona di Madonna di Campagna.

Le prove dell'esistenza di una vera e propria “mafia nigeriana” era stata provata dalle intercettazioni che mostravano gerarchie, cariche e ruoli precisi delle persone, oltre a una terminologia specifica dell'associazione criminale di stampo mafioso, con diverse articolazioni territoriali. Gli imputati invece, quasi tutti difesi dagli avvocati Wilmer e Manuel Perga, hanno sempre sostenuto di essere qualcosa di simile a "un'associazione caritatevole". Douglas Okundaie aveva reso dichiarazioni spontanee affermando per esempio che “Maphite è un’organizzazione nata in Nigeria nel 1978 nell’Università di Benin City: quando un giovane finisce l’università, diventa un membro supremo del consiglio". Ed era anche stato detto che l’obiettivo è promuovere lo spirito di amicizia e fraternità tra i membri, creando una grande famiglia, per scopi sostanzialmente filantropici, aiutando membri più poveri della società stessa”. Esternazioni che avevano indignato il pm, che durante la requisitoria aveva affermato: "Abbiamo registrato le conversazioni della più importante riunione dei Maphite avvenuta negli ultimi dieci anni, a Bologna, dove era arrivato il dominus internazionale, un latitante, che diceva che fuori da quel luogo segreto nessuno doveva parlare se no rischiavano l’arresto. Sentire che ora mi si dica che era un'associazione benefica caritatevole mi fa cascare le braccia”.

Il pm aveva chiesto condanne complessive per 177 anni, ipotizzando il reato di associazione di tipo mafioso e contestando che si trattasse di gruppi armati. Questa circostanza, avanzata da alcuni pentiti ma non provata secondo il giudice, è stata respinta. Invece è stato proprio il gup ad aggravare le condanne contestando la transnazionalità. "Continuiamo a contestare la mafiosità di queste associazioni - spiega l'avvocato Manuel Perga - e attendiamo le motivazioni per preparare l'appello".