Torino

Primarosa, custode del ricordo da Mauthausen al web: “Coltivo la memoria dei deportati”

Primarosa Pia durante l'orazione ufficiale pronunciata a Mauthausen nel settantesimo anniversario della liberazione del lager 
Figlia di un internato nei lager, per anni ha rimosso l'argomento. Poi ci ha scritto un libro e ha aperto un gruppo con migliaia di iscritti
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"Il 25 aprile per me è un giorno di conflitto interiore, non riesco a fare festa. In quel giorno del 1945 lo zio Vittorio era stato ucciso da un mese, papà stava per morire e dovevano ancora passare dieci lunghissimi giorni prima della sua liberazione da Mauthausen". Primarosa Pia — "Primarosa è il nome vero", sottolinea sempre lei — ieri ha trascorso la giornata nella sua casa di Tortona traducendo in italiano l’orazione ufficiale che sarà pronunciata a Gusen il 5 maggio, nel settantatreesimo anniversario dall’ingresso della prima camionetta americana in quel campo di concentramento. "Quella è la data della liberazione per la mia famiglia. Papà e mamma, con gli ex deportati di Torino, le loro famiglie e molti giovani sono sempre stati presenti alla cerimonia internazionale che ogni anno raduna migliaia di persone: da Torino partivano anche otto pullman pieni. E per i 70 anni ho avuto il privilegio di tenere io l’orazione ufficiale, è stata una grande emozione", racconta.

Primarosa Pia, 66 anni, orgogliosa nonna di quattro nipoti e consigliera di minoranza a Montegrosso d’Asti, dove è nata e cresciuta, collabora da anni con gli storici del Mauthausen Memorial di Vienna, da una dozzina d’anni modera il gruppo di discussione “Deportazione mai più” e quando la invitano va nelle scuole per portare la sua testimonianza di vita, "ma soprattutto per mettere in guardia i ragazzi dai pericoli dei fascismi di oggi — dice — Più che soffermarmi sui particolari storiografici del nazismo, cerco di far conoscere il valore della libertà, di spiegare il meccanismo che ha permesso al fascismo e al nazismo di imporsi, facendoli riflettere per esempio sul ruolo che hanno razzismo e bullismo".

Lei lo sa bene quali sono i modi in cui si annienta un uomo. Lei che è cresciuta in una famiglia in cui l’orrore del nazifascismo è sempre stato una presenza quotidiana e che fin da piccola ha sentito i racconti di mamma e papà, costellati di personaggi più crudeli del più temibile orco delle fiabe. Suo padre Natalino, che già era sopravvissuto alla guerra in Russia, si era impegnato nella lotta partigiana ma era stato catturato dai repubblichini a Vinchio durante il rastrellamento del 2-3 dicembre 1944 e portato a Gusen, uno dei sottocampi di Mauthausen, da cui sarebbe uscito "come larva umana" il 5 maggio 1945. Non è stato così per lo zio Vittorio Benzi, fratello della mamma Margherita, che a Gusen è morto di fame e fatica il giorno del diciottesimo compleanno, mentre altri due fratelli, Biagio e Giovanni Benzi, catturati nello stesso rastrellamento nella zona di Nizza Monferrato, sono sopravvissuti ai campi di Flossenbürg e Bolzano.

Nel 1963 papà Natalino caricò tutta la famiglia su un pulmino con le tendine a fiori cucite da zia Albertina e fece rotta verso Gusen e Mauthausen. Primarosa aveva 11 anni e fu talmente scossa dalla visita di quei luoghi, ancora molto simili allo stato originario, che non riusciva nemmeno ad entrare nella stanza in cui in casa erano custoditi i primi libri-documento. "L’unico, grande ricordo che ho di quel viaggio è la paura", scrisse tempo dopo. È stato solo da adulta che è riuscita a elaborare quel vissuto così pesante e ne ha fatto una missione. "Per mio padre era un cruccio che io non volessi saperne di ascoltare le storie della deportazione — racconta oggi — Mi proponeva libri, mi parlava dei suoi incontri con altri ex deportati, portava persino con sé i miei figli ai pellegrinaggi. Ma io non ascoltavo".

È stato solo nel 2000 che Primarosa, fatta la pace a 48 anni con i fantasmi del passato, ha accettato la chiamata del padre e ha curato il manoscritto delle sue memorie trasformandolo in un libro: "Ho vissuto la vita di mio padre trascrivendola e ho capito che non è fuggendo che si vincono le paure, ma è affrontandole, per tanto grosse che possano sembrarci". Così quell’argomento che prima rifuggiva ha iniziato a riempirle la vita e ha cercato di trasferirlo a chiunque parlasse con lei. Ha iniziato a impegnarsi con l’Aned, l’associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti, e ha aperto una casella mail che la sezione di Torino ancora non aveva per mandare con più facilità gli inviti al pranzo di Natale o i dettagli dei viaggi che un paio di volte all’anno venivano organizzati.

L’iniziativa ha avuto un successo inaspettato, gli iscritti sono cresciuti tanto che ha dovuto creare una mailing list che è arrivata ad avere quasi duemila partecipanti, anche all’estero, che poi è stata trasformata nel gruppo “Deportazione mai più”. Oltre alle comunicazioni di servizio, gli iscritti hanno iniziato a usare quello spazio anche per condividere riflessioni, mettere in contatto familiari di deportati, raccogliere testimonianze di deportati stessi. "So bene di non essere una storica — conclude Primarosa Pia — Mi accontento di tenere viva la memoria di tutti, non solo quella che mi riguarda personalemente. E cerco di mettere in circolo conoscenze, esperienze, richieste di altri, qualche volta non riuscendo a nascondere anche le mie emozioni".