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Spazi chiusi, festival cancellati, gli esercenti torinesi sul piede di guerra

"Controlli e sanzioni sono compito della polizia e non degli steward pagati dai locali"

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Riapriamo Torino. Lo chiedono a gran voce organizzatori di eventi, imprenditori dell’intrattenimento e operatori culturali torinesi che hanno lanciato la campagna Sos Torino. "Le manifestazioni, i festival e le rassegne sono decimate, i luoghi storici chiudono uno dopo l’altro e in un contesto totalmente disorganizzato e sconnesso saltano parti di programmazione da un giorno all’altro per via della chiusura improvvisa di spazi – si legge nel testo della petizione diffusa sulla piattaforma change.org, firmata da un migliaio di persone a poche ore dal lacio – a Torino un intero comparto culturale sta morendo".

I numeri del resto sono impressionanti: il Bunker aspetta una soluzione da 105 giorni, il Cacao da 144, il Cap 1000 da 335, lo Chalet da 390, l’Imbarchino da 553 e i Murazzi addirittura da 2020 giorni. La maggior parte chiusi dopo la stretta sui controlli dopo piazza San Carlo con la circolare Gabrielli e poi rimasti impantanati nella burocrazia dei vari enti, nei progetti di ristrutturazione e messa a norma che spesso si rivelano impossibili o troppo lunghi. Per non parlare delle difficoltà che si trova ad affrontare oggi chi cerca di organizzare eventi all’aperto. E molti operatori di conseguenza si vedono costretti a sospendere le attività o a spostarle in altre città. "Abbiamo visto il Fringe Festival migrare verso Firenze, il Salone del Gusto tornare negli spazi chiusi del Lingotto, il Capodanno abbandonare la piazza per i palazzetti semivuoti, San Giovanni ridotto a uno spettacolo di droni in piazza Castello", si legge ancora nel comunicato di Sos Torino. E se spariscono gli spazi di aggregazione, suggeriscono gli operatori culturali, si congestionano ancora di più le zone della movida.

"Servono pianificazione e snellimento della burocrazia", spiega Francesca Lonardelli, direttrice del Premio Buscaglione, che il mese scorso aveva denunciato la situazione in un lungo post su Facebook che ha scatenato un ampio dibattito tra gli operatori del settore, ponendo le basi per la campagna.

"Torino è una città complessa – prosegue Lonardelli – è legittimo impegnarsi per contrastare un certo tipo di movida ma queste scelte vanno fatte in maniera più strutturata perché siano efficaci. Non si può delegare ai locali il compito di sedare i comportamenti molesti".

Che fare i controlli e le sanzioni ai maleducati sia compito della polizia e non degli steward pagati dai locali è una delle richieste che vengono fatte all’amministrazione, a cui viene chiesto anche che i bandi per le riassegnazioni di spazi e manifestazioni vengano pianificati in autunno per l’estate e non un mese prima della naturale apertura, come è stato fatto con il bando per i Punti Verdi, andato deserto.

"Ora gli operatori hanno paura – spiega Valentina Gallo, presidente dell’Associazione Teatrale Orfeo che gestisce il Cap 10100, da mesi chiuso in attesa di una soluzione – questa è una città che non ha più contatto con la realtà: è giusto che chi ha sbagliato paghi e che chi non è a norma provveda, ma bisogna salvare quanto c’è di buono, servono soluzioni pratiche. Così stiamo buttando via il bambino con l’acqua sporca. E intanto centinaia di persone sono senza lavoro da mesi".

Sono circa 500 infatti i posti di lavoro che sono andati persi nell’ultimo anno, tra Cap10100, Imbarchino, Samo, Bunker, Rotonda, Chalet e Club84.

"Il problema non è la chiusura dei locali ma l’impossibilità di riaprirli - rilancia Filippo Camedda, presidente dell’associazione dei nuovi “Muri”. La riapertura dei Murazzi lato destro, è ferma da anni, bloccata dalle prescrizioni incrociate dei tanti enti che hanno voce in capitolo. Dovevamo aprire dopo 8 mesi, invece dopo tre anni e mezzo siamo ancora alla fase progettuale". Il progetto infatti deve superare l’approvazione dei vari enti, ciascuno con i suoi tempi burocratici e le sue prescrizioni. "Bisognerebbe avere la possibilità di ricevere le prescrizioni dai vari enti prima della presentazione del progetto. Così, invece, siamo costretti a procedere a tentoni". E questo porta alla terza richiesta: una conferenza di servizi che segua la presentazione dei lavori e della messa a norma in tempi rapidi e che aiuti chi vuole risanare a farlo velocemente.

In poche ore, l’appello ha fatto il giro del web, sottoscritto e rilanciato da artisti e personaggi del mondo della cultura torinese come Willie Peyote, Paolo di Gioia degli Eugenio in Via di Gioia, Gigi Giancursi, Valentina Farassino. Ed è arrivato anche alle orecchie della politica con la discussione in consiglio comunale che ha affrontato la questione già nelle ore immediatamente successive al lancio della campagna, mentre i consiglieri regionali Marco Grimaldi (Leu) e Daniele Valle (Pd) hanno sottoscritto la petizione chiedendo alla Regione di dare un contributo fattivo alla discussione.

"Servono risposte complesse, determinazione e fantasia – hanno dichiarato – con l’aiuto della Regione e della città molti luoghi possono e devono riaprire. Non c'è bisogno di sceriffi, né per decongestionare alcune aree né per controllare se i ragazzi bevono alcol da asporto, piuttosto servono luoghi per lo spettacolo dal vivo e la cultura, dove fare aggregazione alla luce del sole, da quando sorge a quando va a dormire".

Non si è fatta attendere la risposta della Assessora regionale alla Cultura Antonella Parigi, arrivato in serata con un post su facebook, che si è detta disponibile a sedersi a un tavolo con gli operatori e le istituzioni e ha annunciato l’impegno per reperire le risorse economiche necessarie per la messa in sicurezza dei locali chiusi.

"Non si tratta di rinunciare alla legalità – ha dichiarato - ma di saper offrire una visione e gli strumenti perché Torino continui ad essere (o se preferite, torni ad essere) un laboratorio culturale aperto, all'avanguardia, capace di attrarre tanto i visitatori quanto giovani e creativi da altre città e altri paesi".