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'Ndrangheta: le carte dell'inchiesta che hanno portato ai domiciliari il presidente del Mogliano calcio

Mogliano. Secondo l’Antimafia Marco Gaiba avrebbe facilitato la corsa ai rifiuti della malavita. Interposizione fittizia per facilitare i progetti di influenza e radicazione della ’ ndrangheta crotonese nel nord Italia. Queste le accuse della procura

di Federico de Wolanski
2 minuti di lettura
(ansa)

TREVISO. Interposizione fittizia per facilitare i progetti di influenza e radicazione della ’ ndrangheta crotonese nel nord Italia. Questa l’accusa che due giorni fa ha portato agli arresti domiciliari Marco Gaiba, presidente del Mogliano Calcio. Il gip Giulio De Gregorio del tribunale di Catanzaro ha accolto l’accusa mossa dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro e condotta dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Crotone nei confronti dell’ingegnere trevigiano ritenendo «necessaria l’applicazione della misura cautelare ben potendo gli indagati (si riferisce ad altri volti della maxi inchiesta che ha portato in totale a 169 ordinanza di arresto, ndr) in libertà, riorganizzare le attività».

Misure meno gravi dei domiciliari sono state ritenute «inadeguate in considerazione della stretta vicinanza degli indagati agli ambienti della criminalità organizzata cirotana».



Quali sono gli elementi che avvicinano Gaiba alla ’ndrangheta? Per gli inquirenti due società, entrambe operanti nel circuito del riciclo e riuso delle materie plastiche: “AG Film” e “Chemnet”. La prima è stata fondata da Gaiba nel 2011 assieme a Francesco Aloe, figlio del boss Nicodemo Aloe, a cui ha ceduto tutte le quote nel 2013; ha operato fino alla richiesta di messa in liquidazione avvenuta dopo che la sede legale oltre a quella amministrativa (prima a Mogliano) erano state trasferite nel 2014 nel crotonese. La seconda, “Chemnet”, società direttamente riconducibile a Gaiba, è tutt’ora operante ed ha sede negli stessi uffici di via Ippolito Nievo 47/b a Mogliano dove venne fissata la sede della Ag Film nel 2011 e dove oggi opera la “Soluzioni Platische”, società guidata dal figlio di Gaiba, specializzata sempre nel riciclo dei rifiuti plastici, in cui Marco Gaiba è consulente direzionale, e che è estranea all’inchiesta crotonese.

La “AG Film”, dopo l’avvio moglianese e l’uscita di scena di Gaiba, grazie alla rete di contatti e infiltrazioni garantite da Francesco Aloe, dalla sua famiglia, ed ancor più dal cognato Giuseppe Spagnolo, boss crotonese poi detenuto in carcere a Padova per omicidio, a detta degli inquirenti è riuscita ad ottenere il monopolio della gestione dei rifiuti plastici nel crotonese raddoppiando i bilanci.

La “Chemnet” invece, pur non apparendo nell’ampio registro delle imprese riconducibili alla ’ndrina di Spagnolo, si ritrova straordinariamente catapultata in Calabria quando i carabinieri, nel corso di un controllo nel capannone in cui opera una delle società «riconducibili alla cosca» degli Aloe (la “Aloe plastic”) vi scoprono a lavoro dipendenti che si dichiarano assunti, o in prova, da parte della “Chemnet”, citano Gaiba ma fanno riferimento diretto a Francesco Aloe. Sono dettagli che inducono gli investigatori a considerare la “Chemnet” come «riconducibile a persone della famiglia Aloe», specificando poi come la società «sebbene avesse sede in provincia di Treviso, operava nello stesso capannone e con le stesse attrezzature nella disponibilità degli Aloe, in località “Fatagò” di Cirò».

Secondo l’Antimafia quindi Marco Gaiba avrebbe favorito, con il suo nome e il suo curriculum pulito e insospettabile, l’avvio di società poi utili ai progetti malavitosi. Scelta volontaria? Raggiro? Il presidente del Mogliano è oggi nella sua abitazione, protetto dalla famiglia che si è detta choccata dalle accuse ed ha chiesto cautela. «Spiegheremo tutto al momento opportuno», sono state le poche parole arrivate da casa di Gaiba. Sull’imprenditore, incensurato, incombe più pesantemente oggi l’ombra di una precedente inchiesta dell’antimafia, conclusasi nel febbraio dello scorso anno. Ben 98 gli imprenditori chiamati a rispondere della violazione delle regole sull'esportazione di rifiuti plastici e indumenti. Sotto accusa un maxi giro di plastica usata che dall’Italia partiva attraverso Prato e i porti di Livorno alla volta di Cina e Tunisia, senza le autorizzazioni necessarie.

Il nome di Marco Gaiba figurava tra gli indagati, ad occuparsi dell’inchiesta ad oggi in discussione nelle aule del tribunale era ancora l’Antimafia che considerava la plastica come una possibile via di interesse della criminalità organizzata.

Nell’inchiesta di Catanzaro il riciclo è solo uno dei tanti rivoli attraverso i quali la Ndrangheta crotonese ha alimentato per anni un fiume di denaro.

 

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