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Artisti “di coccio”

A Roma esiste una via che, in epoca romana, era tanto importante per il commercio artigianale quanto lo può essere oggi via Condotti per lo shopping. Stiamo parlando di via dei Vascellari il cui nome, secondo alcuni studi e stime, viene attribuito alla presenza di artigiani dei “vaselli”, cioè di vasi e vasetti, che avevano le loro botteghe in zone molto vicine al fiume Tevere. Il letto del fiume, infatti, forniva grandi quantità di ghiaia, sabbie e argilla. Quest’ultima fu di grandissima importanza per lo sviluppo di tecniche artigiane e artistiche sin dalla preistoria. Da che l’homo sapiens ha potuto fabbricare armi, oggetti artistici e di uso quotidiano, ha iniziato anche a scambiare questi materiali con altri gruppi di uomini, fino ad arrivare al periodo in cui, superato il baratto e organizzatisi in città, le famiglie più ricche commissionavano agli artigiani vasi di bellissima fattura. Quindi il vasellame, cioè l’argilla, è stato uno dei motivi che ha permesso all’uomo di esprimersi in forme artistiche e interagire attraverso i commerci. In tal modo gli studiosi, con ritrovamenti e ricostruzioni di queste ceramiche, conoscono meglio la cultura, le usanze, le storie e le persone dell’antichità.
Ma chi lavora alla realizzazione del vaso? La manipolazione del materiale argilloso, che cotto dà vita alle ceramica, nel Medio Oriente prende piede tra l’VIII e il VII millennio a.C. e non presenta decorazioni. Arrivando poi all’epoca dei grandi artigiani greci, notiamo che c’è una differenziazione tra il ceramista, che è colui che lavora alla forma e alla cottura del vaso, e il ceramografo, ovvero il pittore che dipinge sul vaso del ceramista. Inoltre il ceramista iniziò a prendere coscienza della propria importanza nella società per le proprie qualità artistiche e artigiane, tanto che molte opere sono firmate. Lui si occupava di ogni passaggio: setacciata a mano e poi fatta decantare l’argilla raccolta, per liberarla dalle impurità, il vasaio poteva quindi lavorarla con varie tecniche, a mano o sul tornio, e poi cuocerla.
Nella preistoria le ceramiche erano quasi sicuramente cotte su fiamma o in forni a cielo aperto, poi in epoca romana si usarono principalmente forni veri e propri con camere di combustione e di cottura separate. Il ceramografo, invece, dipingeva dopo la formatura del vaso e dell’essiccazione, ma prima della cottura nel forno. Una volta decorato e cotto, il vaso era pronto per essere esposto nelle botteghe dei “vascellari” di Trastevere, venduto alle famiglie romane per poi andare a ravvivare le collezioni dei musei dove noi oggi ancora possiamo ammirarlo.

Veronica Loscrì

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