Agenzia Giornalistica
direttore Paolo Pagliaro

«Come non darla…
vinta» secondo
Elena Ballerini

Libri
Ogni settimana uno scaffale diverso, ogni settimana sarà come entrare in una libreria virtuale per sfogliare un volume di cui si è sentito parlare o che incuriosisce. Lo "Speciale libri" illustra le novità delle principali case editrici nazionali e degli autori più amati, senza perdere di vista scrittori emergenti e realtà indipendenti. I generi spaziano dai saggi ai romanzi, dalle inchieste giornalistiche, alla storia e alle biografie.

ELENA BALLERINI SPIEGA “COME NON DARLA. . . VINTA”

Vedere realizzati i propri sogni ha un prezzo e per una donna spesso fa rima con sesso. Quante ragazze hanno trovato sulla loro strada uomini più attenti al loro aspetto che alle loro capacità? Ma concedersi non è la strada più proficua: esiste un metodo per riuscire a ottenere il massimo sottraendosi alle avances senza darla. . .vinta. Ed Elena Ballerini lo ha descritto nel suo libro “Come non darla... vinta” (Imprimatur). “Avevo scritto questo saggio mesi prima che esplodesse il caso Weinstein - precisa l'autrice - Nel mio libro non c’è alcun riferimento alla morale o alla separazione fra giusto e sbagliato. È una linea che ciascuno tratteggia secondo la propria etica". Le pagine scritte da Elena Ballerini raccolgono le istruzioni per godere dei vantaggi di certe conoscenze evitando approcci indesiderati. "Visto che ogni cosa ha un prezzo perché c’è un prima, un dopo, ma soprattutto un durante - spiega l’autrice - in questo manuale ho descritto alcuni espedienti di fuga per sottrarsi a situazioni imbarazzanti attraverso l’individuazione di strategie da attuare nei confronti delle principali tipologie di uomini potenti, analizzate con un po’ di umorismo,  con cui può capitare di imbattersi quando si cerca il proprio  posto nel mondo. Perché questo posto si può raggiungere sempre quando si crede in un grande valore come la meritocrazia". Autrice e interprete dei suoi testi, Elena Ballerini si cimenta per la prima volta in un saggio brillante affrontando, con una scrittura vivace, il tema dell'affermazione delle donne nel mondo dello spettacolo e, più in generale, del lavoro. “Nel mio subconscio ho iniziato a fare spettacolo per diventare un giorno una scrittrice - si racconta -. Quando avevo 7 anni scrivevo su alcuni foglietti dei pensieri che chiamavo canzoni. Poi li accartocciavo per tenerli nascosti. Erano talmente importanti per me che pensavo che l’unico modo per custodirli fosse non leggerli a nessuno. In realtà mia mamma li aveva trovati tutti e mi iscrisse ad un concorso letterario dopo averli trascritti. Lo vinsi ma provai imbarazzo quando le mie poesie furono lette ad alta voce. Da quel giorno ho scritto ancora e di nuovo solo per me. Fino ad oggi, quando ho capito quanto sia giusto e significativo per me scrivere del tema che mi tocca più da vicino: l’autodeterminazione”.

 

“VIVERE NEL MEDIOEVO” DI CHIARA FRUGONI

Come vivevano gli uomini, le donne e soprattutto i bambini nel Medioevo? Cominciamo dalla stanza da letto, vivacemente utilizzata anche di giorno, per pranzare, studiare, ricevere visite e, se si fosse stati re, per applicare la giustizia. Come era ammobiliata? E come ci si difendeva dall’assillo per eccellenza, il freddo? Perché i neonati venivano fasciati come piccole mummie e il rosso era così presente nel loro abbigliamento? Crescere era difficile per un bambino: mancanza di igiene, cibo inadatto, balie incuranti. E il demonio, sempre in agguato, che faceva ammalare, rapiva e uccideva. Imparare a leggere e scrivere, un divertimento nell’ambiente domestico, un incubo quando entrava in scena il maestro, sempre severissimo. Molti i giochi all’aperto, assai pochi i giocattoli veri e propri. Giocavano i bambini, meno le bambine. Se mandate in monastero non necessariamente avevano un destino infelice. Hanno copiato codici, scritto testi, miniato smaglianti capolavori. Se ci si allontanava dalla casa o dalla cella per un viaggio, che cosa poteva capitare? Quali avventure nelle strade brulicanti di pellegrini, penitenti, malfattori? A tutte queste domande e ad altre ancora risponde la storica Chiara Frugoni in “Vivere nel Medioevo. Donne, uomini e soprattutto bambini” (Il Mulino) un racconto reso vivacissimo anche da stupefacenti immagini. Frugoni ha insegnato Storia medievale nelle Università di Pisa, Roma e Parigi. Tra i suoi libri recenti: “Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali” (Laterza, ultima rist. 2014), per Einaudi “Quale Francesco?” (2015) e “Senza misericordia” (con S. Facchinetti, 2016). I suoi saggi sono tradotti nelle principali lingue europee, oltre che in giapponese e in coreano.

“ANTROPOLOGIA E LETTERATURA” SECONDO BUTTITTA

“Lo scrittore, cercando l’uomo, trova gli uomini; l’antropologo, ma anche il sociologo, lo storico, etc., osservando gli uomini, troppo spesso perdono l’uomo. Il mondo si trasforma in un regno di astrazioni quantitative. I vivi e i morti si contano in numeri e dispare quanto di attese e passioni, gioia e pena, sostanzia e rende reale la loro esistenza. Si perde insomma l’identità e si dissolve la tensione invisibile che, pur occultandosi nei loro atti, di fatto li anima e li fa vivere. Si tratta però di rare eccezioni. Quale antropologo, ma anche sociologo, storico ha restituito la società russa o centro e sudamericana, di un preciso tempo, come Gògol e Tolstoj, Carpentier e García Márquez? Nel generale dissenso ho spesso affermato che gli uomini non producono e consumano cose ma simboli. È questo il segreto inarrivabile della loro specificità in quanto umani. Resta da capire che cosa è il simbolo”. In “Antropologia e letteratura” (ultimo libro del grande antropologo ideato insieme al figlio Emanuele, edito da Sellerio) gli scritti di Antonino Buttitta sul tema che maggiormente lo ha appassionato e interpellato negli ultimi anni: il rapporto tra antropologia e letteratura, ovvero come gli umani raccontano di sé, ovvero come provano a vincere la morte. Un interesse in cui si esprimeva l’immenso, ironico e tollerante, scettico e simpatetico amore che lui sentiva per tutte le manifestazioni del vivere. Realizzato attraverso la capacità di spaziare nella cultura e nelle culture con acutezza e invenzione, e “cercare connessioni tra cose tra loro lontanissime” (Vico). E, dunque, “un libro che testimonia – scrive il figlio Emanuele – la sua ricerca di senso, per tutta la vita, nella letteratura”. Questo “Antropologia e letteratura” è il primo volume pubblicato dopo la morte di Antonino Buttitta nella collana da lui fondata e diretta per oltre quarant’anni. Antonino Buttitta. Buttitta (1933-2017) professore emerito dell’Università di Palermo, ha insegnato per molti anni in varie Università Antropologia culturale e Semiotica. Tra le sue opere: Cultura figurativa popolare in Sicilia (1961), Ideologia e folklore (1971), La pittura su vetro in Sicilia (1972 e 1991), Pasqua in Sicilia (1978), Il Natale (1985), L’effimero sfavillio. Itinerari antropologici (1995). Con questa casa editrice ha pubblicato Semiotica e antropologia (1979), Dei segni e dei miti (1996) e Mito fiaba rito (2016). Emanuele Buttitta (1967), dottore di ricerca in Letteratura e Antropologia, è docente di Lettere. Ha insegnato Etnografia nell’Università di Palermo dal 2005 al 2009. Tra le sue pubblicazioni: Festa religiosa e scrittura letteraria in Sicilia (2005).

 

STEFANO ALLIEVI: “IMMIGRAZIONE, “CAMBIARE TUTTO”

Le migrazioni ci sono. Sono sempre di più e saranno ancora di più in futuro. Non è più il tempo dei problemi senza risposta: è il momento delle soluzioni. È la riflessione di Stefano Allievi in  “Immigrazione. Cambiare tutto” (Laterza). L’immigrazione è un fenomeno strutturale da decenni. Tuttavia è sempre stato affrontato in termini di emergenza, come fosse un fatto episodico. Ma l’estensione, la qualità e la quantità del processo sono tali da esigere una soluzione complessiva al nostro sistema di convivenza che non sottovaluti il malessere diffuso nell’opinione pubblica. Le recenti polemiche intorno al ruolo delle ong nei salvataggi sono l’ultimo degli esempi. Per non dire della crescente xenofobia che rischia di indebolire la coesione sociale del nostro paese. L’immigrazione irregolare, il trafficking (i suoi costi e i suoi morti), i salvataggi, i respingimenti, la gestione dei richiedenti asilo con le sue inefficienze, le forme dell’accoglienza. E ancora, i problemi legati ai rimpatri, alla cittadinanza, alle implicazioni delle diverse appartenenze religiose: è urgente e necessaria una riflessione critica onesta su tutte le questioni che accompagnano le migrazioni attuali, affrontando quelle più spinose, con il coraggio di proposte radicali. Stefano Allievi è professore di Sociologia e direttore del Master sull’Islam in Europa presso l’Università di Padova. Si occupa di migrazioni in Europa e analisi del cambiamento culturale e del pluralismo religioso, temi sui quali ha condotto ricerche in Italia e all’estero. È membro del Consiglio per le relazioni con l’Islam italiano presso il Ministero dell’Interno. Tra le sue pubblicazioni, “La guerra delle moschee” (Marsilio 2010), “Conversioni: verso un nuovo modo di credere? Europa, pluralismo, islam” (Guida 2016) eIl burkini come metafora. Conflitti simbolici sull’islam in Europa” (Castelvecchi 2017). 

 

GALIMBERTI DA’ LA PAROLA AI GIOVANI

Nel 2007 Umberto Galimberti ha pubblicato un libro, “L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani” in cui descriveva il disagio giovanile da imputare, a suo parere, non tanto alle crisi psicologiche a sfondo esistenziale che caratterizzano l’adolescenza e la giovinezza, quanto a una crisi da lui definita “culturale”, perché il futuro che la cultura di allora prospettava ai giovani non era una promessa, ma qualcosa di imprevedibile, incapace di retroagire come motivazione a sostegno del proprio impegno nella vita. A distanza di anni cos’è cambiato di quell’atmosfera che Galimberti aveva definito “nichilista”? Non granché, fatta eccezione per una percentuale forse non piccola di giovani che sono passati dal nichilismo passivo della rassegnazione al nichilismo attivo di chi non misconosce e non rimuove l’atmosfera pesante del nichilismo senza scopo e senza perché, ma non si rassegna. E dopo un confronto serrato con la realtà, si promuove in tutte le direzioni, nel tentativo molto determinato di non spegnere i propri sogni. “La parola ai giovani” (Feltrinelli)  raccoglie la voce di questi giovani, che hanno un gran bisogno di essere ascoltati per poter dire quelle cose che tacciono ai genitori e agli insegnanti, perché temono di conoscere già le risposte, che avvertono lontane dalle loro inquietudini, dalle loro ansie e dai loro problemi. E allora si affidano a un ascoltatore lontano, che prende a dialogare con loro, non per risolvere i loro problemi, ma per offrire un altro punto di vista che li faccia apparire meno drammatici e insolubili. “Al nichilismo passivo della rassegnazione, non sono pochi i giovani che sostituiscono il nichilismo attivo di chi, prendendo le mosse proprio da quel desolante scenario, e non da consolanti speranze o inutili attese, inventa il proprio futuro”.

 

 

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