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Cronache
"Chiese dismesse non diventino moschee". Cattolici minoranza in Occidente

CHIESE DISMESSE, RAVASI. "EVITARE CHE DIVENTINO MOSCHEE"

"Se in un quartiere o in una citta' sorgono nuove necessita' di culto da parte della comunita' islamica, allora si deve costruire una moschea, con tutte le condizioni d'uso necessarie. Piu' difficile trasformare in moschea una chiesa inutilizzata. Le identita' sono troppo diverse tra questi due luoghi di culto. Ma se sorgono necessita' ecco che la moschea sara' un segno nuovo dentro un quartiere, come del resto e' avvenuto in tante citta' americane". Lo dice, in una intervista al Messaggero, il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del pontificio consiglio della Cultura. Alla domanda se il passaggio da chiese a moschee non sia uno shock per l'Europa, Ravasi risponde: "Certo: sempre ci sara' una buona dose di emotivita'. Anche a Roma da anni c' e' la moschea di Monte Antenne e ormai non crea piu' scandalo. Io direi che fermo restando l'identita' storica e l'identita' attualmente prevalente (che e' quella cristiana) bisogna tutelare i segni, i simboli. Purtroppo i cristiani europei stanno perdendo valore e identita' ed e' un problema di tipo pastorale, culturale e sociale. Siamo una minoranza ma non dobbiamo ridurci a una casta, vivere come una sorta di specie protetta. Dobbiamo essere presenti come spina nel fianco, come lievito".

Chiesa, Ravasi: "Cattolici ormai minoranza in Occidente" 

D'altronde, parlando al Corriere della Sera, sempre Ravasi qualche giorno fa aveva sottolineato: "In Occidente, anche in Italia, noi cattolici e in generale noi credenti dobbiamo essere consapevoli che siamo una minoranza. Molti ecclesiastici lo rifiutano, quando lo dici ti fermano", ha osservato Ravasi, "vivono come se ancora fossimo in quei Paesi dove la domenica mattina suonavano le campane e la gente accorreva a messa".  "Prevale l'indifferenza, l'irrilevanza del fenomeno religioso", ha osservato Monsignor Ravasi, "e' il problema del secolarismo, o della secolarizzazione" e comporta "una forma di apatia religiosa. Che Dio esista o meno, e' lo stesso. E questo comporta la caduta di un sistema etico: i valori sono autoprodotti". Di fronte a questo fenomeno ci sono "due strade fondamentali: "La prima e' ridursi a dire il minimo assoluto, religioso e morale", ha spiegato Ravasi che pero' rigetta questo percorso perche' "la presenza dei credenti, anche se minima, dev'essere un urlo, non un sussurro".    La seconda strada e' quella di "conservare il nucleo, il ke'rygma della fede, le grandi parole ultime: il Decalogo, il Discorso della Montagna, la verita', la vita e la morte Fare come San Paolo nell'Areopago di Atene, pur sapendo che e' possibile anche il fallimento. La sconfitta e il rifiuto sono parte della dinamica dell'annuncio". 

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