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Economia
Italia-Cina, interscambio troppo basso: ecco come si può crescere

Si può fare di più. L'interscambio commerciale tra Italia e Cina può aumentare. Romeo Orlandi, economista, sinologo e vicepresidente del think tank Osservatorio Asia, spiega come in un'intervista ad Affaritaliani.it. Con uno sguardo sui recenti sviluppi politici dei due paesi.

Romeo Orlandi, secondo gli ultimi dell'ufficio Ice di Pechino relativi al 2017, è al 19esimo posto nell'export verso la Cina. Si potrebbe fare di più?

Si potrebbe fare molto di più. L'Italia è il non esportatore al mondo quindi il 19esimo posto nell'export verso la Cina non è abbastanza. Potremmo aggredire in maniera molto più efficace il mercato cinese. Nel 1999 l'Italia aveva l'1,6% delle quote di mercato, ora solo l'1%. Siamo in calo anche se numericamente esportiamo sempre di più. 

Questo come si spiega?

Si spiega col fatto che altri paesi esportano di più e meglio dell'Italia. L'export della Germania in Cina è cinque volte più grande di quello italiano. Ma la Germania non è cinque volte superiore all'Italia. Questo significa che ha una struttura paese e una composizione merceologica maggiormente in linea con le necessità cinesi. 

Perché l'Italia fa fatica ad adattarsi alle necessità cinesi?

Per le aziende italiane la Cina risulta lontana e difficile, ne abbiamo un'immagine distorta. In genere si pensa alla Cina come il più grande mercato del mondo disposto ad accettare qualsiasi prodotto. Non è così, di certo non più. Il nostro export poco mirato è esposto a una concorrenza spietata che viene anche dalla produzione interna della Cina.

Cosa potrebbe fare l'Italia per rendere più appetibile il proprio export?

Dobbiamo far valere gli aspetti più prestigiosi e qualitativi. Dovremmo concentrarci sul dare alla Cina quello che la Cina non ha, come per esempio fa la Germania con la meccanica e le auto.

Va letta in questo senso l'eccellente performance dei vini italiani che sono tra le categorie che più aumentano nell'export verso la Cina?

Esattamente. Bisogna puntare sulla qualità. I vini sono un esempio perfetto. Noi non possiamo competere sui beni di consumo di qualità media. Quello che si esporta in Belgio non può essere quello che si esporta in Cina. Non possiamo dare al mercato cinese quello che può avere già da altri mercati meno costosi o dalla sua produzione interna. Dobbiamo lavorare sulla qualità che ci contraddistingue.

Quali sono gli altri prodotti su cui l'Italia potrebbe puntare?

Materiali di costruzione, componenti meccaniche, arredamento di qualità, illuminotecnica.

L'import italiano dalla Cina è invece più alto rispetto, per esempio, alla Francia, che invece esporta di più. Come mai?

L'import è legato anche alla qualità del reddito degli acquirenti. In Italia sono per esempio frequentissime le lanterne rosse cinese nei ristoranti, probabilmente è quello che in questo momento possiamo permetterci.

E' sbagliata l'associazione prodotto cinese=bassa qualità?

E' un'immagine sbagliata. I cinesi fanno anche prodotti di maggiore qualità, per esempio nella componentistica elettronica. Ed è chiaro che questi prodotti, anche a causa dei dazi sempre più bassi e del costo più basso, facciano concorrenza ai prodotti italiani.

Cambia qualcosa sul mercato cinese dopo gli ultimi sviluppi legati al presidente Xi Jinping?

In realtà siamo in un momento dove si sta aprendo uno spiraglio positivo. Si sta affermando un'imprenditoria privata che non ambisce ad avere riconoscimenti politici ma vuole solo fare soldi. E' un'imprenditoria privata più dinamica, giovane e produttiva delle vecchie aziende di Stato. Si tratta di una buona opportunità per il mercato italiano, composto spesso da piccole e medie imprese, che soffrivano nel dover negoziare solo con dei giganti.

Durante la campagna elettorale in previsione del voto del 4 marzo i politici italiani non hanno mai affrontato il tema Cina. Come mai secondo lei?

La Cina non ispira simpatia e parlarne non porta voti. In più per parlarne bisognerebbe conoscere le sue dinamiche ed escludo che la stragrande maggioranza dei nostri politici le conosca. Non a caso mi pare che pressoché tutta la politica estera sia stata assente dalla campagna elettorale.

L'esito del voto cambia qualcosa in ottica cinese?

Per la Cina non cambia sostanzialmente nulla. A Pechino il fatto che cambi il governo interessa poco anche perché il nostro paese risulta ancora lontano e il nostro panorama politico appare incomprensibile. Non a caso i cinesi tendono ad andare a Bruxelles o Berlino per parlare di politica, a Londra per parlare di finanza e a Parigi per parlare di difesa.

Durante la sua recente visita a Pechino, Alfano ha posto come obiettivo un interscambio di 40 miliardi entro il 2020. Si può fare?

Le condizioni esistono. Si può fare a patto che si smetta di considerare la Cina come un oggetto misterioso, lontano e cattivo. E' vero che in Cina c'è uno spiccato nazionalismo ma altri paesi riescono a fare affari d'oro senza rinnegare le proprie convinzioni politiche. Non vedo perché non dovrebbe riuscirci anche l'Italia.

twitter11@LorenzoLamperti

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