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Milano
Di Maio incontra i professionisti a Milano, e parla come Renzi
Luigi Di Maio all'incontro con il comitato M'Impegno

di Ma.TS.

A un certo punto abbiamo dovuto controllare il nome del file audio della registrazione appena salvata e riascoltata. Accertandosi che fosse “Di Maio”. Perché il dubbio, sbobinando, che fosse un mp3 del Matteo Renzi di qualche anno fa, della prima maniera, effettivamente era venuto. Sbobinando, il momento migliore è stato quello in cui Di Mario parla del Made In Italy e dice: “Se fosse un marchio sarebbe il terzo al mondo”. Novità? Macché. Deja vu: Renzi di qualche anno fa, appunto. E infatti: 14 aprile 2015, Renzi inaugura il Salone del Mobile a Milano e cita il refrain uscito qualche mese prima sul Sole 24 Ore; poi lo ribadisce in un post - lo si trova ancora su Facebook con la diretta YouDem (ve lo ricordate?) del discorso - “Guardando la bellezza del design italiano, tutti ancora oggi restano in silenzio ad ammirare. D'altronde lo sappiamo bene, se il Made in Italy fosse un brand sarebbe il terzo marchio più noto nel mondo. E su questo noi stiamo lavorando per valorizzare e difendere il valore dell'identità dei prodotti italiani”. Balzo in avanti di due anni ed ecco che venerdì sera la storiella sul Made in Italy brand torna in auge, questa volta nelle parole del candidato premier del Movimento 5 stelle in un incontro con i professionisti milanesi del comitato ‘M’Impegno’. Di Maio termina il suo discorso così, con l'uscita sul brand, poi l’applauso, e la fila per stringergli la mano e lasciargli un biglietto da visita. Perché davvero la gente fa ancora la fila per stringere la mano ad un politico. A quanto pare sì, anche a Milano.

Ma riguardiamo appunti e sbobinato. Di Maio aveva cominciato così: “Buona sera. Ho girato in questi giorni la vostra regione e incontrato alcuni protagonisti del tessuto economico per eliminare i pregiudizi sul movimento che rappresento e quello che mi sento dire più spesso è: ‘Non immaginavo che foste così’”. Pure per i giornalisti presenti, tra cui Affaritaliani.it Milano, è una sorpresa che Di Maio fosse così, che parlasse di dialogo con gli ordini professionali, portando l’esempio della Germania, dove, a detta sua, “gli emendamenti alle leggi vengono controfirmati dai rappresentanti degli ordini”. Eccolo: “Non possiamo dire di fare delle leggi a favore di alcune categorie se queste non partecipano attivamente alla stesura dei testi. L’audizione in commissione non è più lo strumento adatto”, prosegue. Una collaborazione con gli ordini professionali? Li chiama “portatori di interesse”. Davvero? E dove è finita la lotta al corporativismo, che negli ordini ha il proprio cardine? Ecco, con gli ordini si tratta, e vale anche per il Movimento 5 Stelle. Siamo pur sempre a Milano, e questa fetta “alta” di voto non si può lasciare indietro.

Avanti, capitolo Ema: “E’ stato fatto un grande lavoro di squadra. Anche i nostri consiglieri hanno collaborato con il sindaco Giuseppe Sala e il governo. Non si è ottenuto il risultato ma dobbiamo impegnarci per essere attrattivi rispetto ai capitali stranieri”. Il leader del partito nuovo, quello che doveva aprire le istituzioni come scatolette, si unisce al coro di dispiacere per la perdita di un’istituzione europea e al rammarico per il “gioco di squadra”? Sì, a quanto pare. Qui siamo in centro a Milano e la narrazione Ema aveva fatto presa. Bisogna poi apparire vincenti, parlare di futuro di innovazione, tecnologia, creatività. E dunque: “L’Italia sarà la terza potenza creativa mondiale entro il 2025”, si libera Di Maio in uno slancio tutto renziano. 

E la democrazia diretta, che fine ha fatto? “Non significa mettere ogni cosa ai voti”, chiosa. E’ il nuovo storytelling di governo di Di Maio, che poco prima era arrivato sorridente e poco dopo si è sottoposto a domande di avvocati, professori universitari e persino sindacalisti riuniti alla Casa della psicologia in piazza Castello. “Nessuna delega non vuol dire una consultazione per ogni decisione ma un modo di vedere e di dialogare con i territori”. E il blog di Grillo? E Rousseau? E’ tutto cambiato: questo non è più il movimento degli inizi. Questo è Di Maio. E qui siamo a Milano. 

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