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Politica
Governo, il fronte dei “nemici” cresce ma non prende voti

Adesso, a quattro mesi dal voto delle Europee di maggio, la parola d’ordine di chi, bocciato il 4 marzo alle urne, annusa l’aria e sente sulla pelle il morso di una nuova cocente sconfitta è: “fare argine”. Tutto e tutti contro il governo e i partiti che lo sostengono, soprattutto contro il leader della Lega vice premier e ministro dell’Interno Matteo Salvini, dato dai sondaggi ben oltre il 30% dei voti, in corsa con il vento in poppa per la leadership di una UE da rivoltare come un calzino, smontandone gli “arcana imperii”. E’ un fronte di scarsa credibilità, già baluardo di élites nazionali ed internazionali, articolato, anzi bislacco, senza leadership e programmi condivisi, ma è in estensione anche perché raccoglie i reduci della sconfitta del 4 marzo e quanti temono l’arrivo di un nuovo tsunami politico-elettorale. A sinistra, il Partito democratico, sempre preso dalle sue beghe congressuali, pare disposto persino a cancellare il proprio simbolo per uscire dal pantano promuovendo una pasticciata “alleanza democratica”.

Intanto, ecco il Manifesto per le Europee spinto da Carlo Calenda con politici locali e 100 esponenti della cosiddetta società civile per un “listone” dei soliti noti, anti “nazional-populista”, con l’ok di Gentiloni, Martina, Zingaretti&C: uno zibaldone di ex partigiani dell’ordoliberismo, per riciclarsi e assicurarsi nuove cadreghe, un “cartello” che rischia di aumentare confusione e frustrazione in un elettorato deluso e scettico per nulla disposto a seguire politici bolliti e progetti rimasticati. A destra, torna in vetrina, come “usato garantito”, la ricandidatura alle Europee del quasi 83enne Silvio Berlusconi, l’ex premier antesignano dell’anti-politica che già nella sua prima discesa in campo si era proclamato l’erede di Sturzo e De Gasperi per la crociata anti comunista del ’94 certo oggi di riproporre il bis richiamandosi ai “Liberi e forti” del 18 gennaio 1919 di Don Sturzo, stavolta contro i sovranisti. Non era forse meglio, per il Cav, limitarsi al ruolo di king maker evitando l’azzardo con il rischio del harakiri per se stesso e per Forza Italia? Addirittura scende in campo la Chiesa, con alcuni vescovi in testa, per rilanciare il “partito cattolico” – pur con il solito linguaggio paludato che auspica “un rinnovato contributo, autonomo e creativo dei cattolici alla società e alla politica” - richiamando in servizio gli ex diccì sparsi dopo la fine della prima Repubblica nei tanti rivoli di movimenti e partitini dello zero virgola o, nostalgici mai pentiti, vaganti senza rotta nel mare magnum dell’astensionismo.

A 100 anni dell’appello ai “Liberi e Forti” che originò il Partito Popolare e a 25 anni dalla fine della Democrazia Cristiana dopo 50 anni di governo serve davvero un miracolo per rendere oggi credibile e fattibile quel nuovo partito dei cattolici ispirato dai Vescovi. Evidentemente, c’è chi nelle Gerarchie ritiene superato il dogma dell’ex presidente Cei cardinale Camillo Ruini che oltre 30 anni fa mise una pietra sopra l’unità politica dei cattolici italiana, ritenuta una “esperienza irripetibile”. Mettere oggi insieme in un nuovo soggetto politico “moderato centrista” i cattolici che non si sentono rappresentati né dai partiti di centrodestra né dai partiti di centrosinistra in funzione anti sovranista, con Salvini nel mirino soprattutto per la sua politica di lotta all’immigrazione clandestina, rischia di tradursi in un flop, politico oltre che elettorale, trascinando nel tunnel dell’irrilevanza la Chiesa, già malmessa di suo. Tutto è cambiato dal dopoguerra quando in Italia la Chiesa, forte di decine di milioni di fedeli devoti, disponeva di organizzazione capillare e di prestigio, con il supporto di politici cattolici di qualità, di grande carisma e leadership.

Con la nostalgia non si fanno i partiti e con le preghiere non si vincono le elezioni. I tempi dello spirito, si sa, non coincidono con i tempi della politica, ancor meno con quelli della campagna elettorale. In questi tre fronti – di sinistra, di destra, di centro - pare non esserci la consapevolezza della nuova realtà nazionale e mondiale, nella illusione che i cicli storici possano ripetersi, sic et simpliciter, magari cambiando le insegne tarlate alle vecchie botteghe fallite o gridando: “al lupo, al lupo!”. Il rischio, per gli “anti sovranisti”, è quello di pescare tutti nello stesso stagno rimanendo con il carniere vuoto e costretti ad uscire di scena, con le pive nel sacco.

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