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Politica
Governo, Pd e sinistra alla ricerca del “nemico”

Dopo le batoste elettorali l’opposizione del Pd e della sinistra si riduce a rimpallarsi la domanda: “Quanto durerà il governo M5S-Lega?”. Ovviamente sperando in un incidente di percorso fra M5S e Lega o nell’impennata dello spread o nella legge di stabilità purchè scatti la trappola per l’esecutivo e per i partiti che lo sostengono. Ma è un agitarsi confuso, uno sparare a vanvera, senza uno straccio di linea politica su come ripartire e riorganizzarsi, come fare opposizione ritessendo il filo di alleanze politiche e sociali per un progetto di alternativa credibile. Al Pd e alla sinistra la lezione delle urne non è servita. Si cercano scorciatoie movimentiste chiamando avventatamente il popolo in piazza, stavolta contro il “razzismo-fascismo” di Salvini&C ritrovandosi isolati, con i “quattro gatti” di turno. Vuoto politico e organizzativo. Mancano, oltre la credibilità, i fondamentali. In un partito si sta (si stava?) insieme per ideali e interessi comuni. Se un partito perde voti, un motivo c’è.

Se la gente non risponde alla chiamata in piazza, un motivo c’è. Sono sempre reazioni politiche. Un partito inutile scompare. Un partito utile si rafforza. La storia insegna. La Dc che, fra luci e ombre, ha fatto l’Italia della seconda metà del novecento, aveva nella difesa della democrazia e nell’anticomunismo la sua missione non disdegnando su questioni importanti un’intesa tacita ma non effimera con il Pci. A sua volta, il partito comunista nato nel 1921 da una scissione dal Partito socialista per “fare in Italia come in Russia”, puntava al superamento del capitalismo per una via nazionale al socialismo. De Gasperi e Togliatti, pur fra aspre polemiche e ruoli definiti che hanno reso la democrazia “incompiuta” (la Dc al governo con gli alleati, il Pci all’opposizione per la “conventio ad excludendum”), interpretarono responsabilmente la nuova realtà mondiale del dopoguerra: il primo riconoscendo il ruolo e la funzione del Pci specie per il suo radicamento sociale; il secondo acquisendo la lezione di Yalta e abbandonando con la “svolta di Salerno” avventuristiche tentazioni rivoluzionarie. L’unità della Dc era garantita dalle correnti in rappresentanza della pluralità di interessi, non solo politici. L’unità del Pci si basava sul “centralismo democratico”, il partito gramsciano “intellettuale collettivo” con la dialettica interna e il riconoscimento al dissenso ma con il limite invalicabile della difesa dell’unità del partito e della ripulsa delle correnti.

Per motivare la propria base e per conquistare l’elettorato, sia la Dc che il Pci avevano bisogno di un nemico da combattere: per lo Scudo crociato, i comunisti; per il partito della “falce e il martello”, i democristiani. Ma entrambi rispondevano ad esigenze politiche e storiche,partiti divisi ideologicamentesi unirono per combattere il nazifascismo e, 30 anni dopo, per difendere le istituzioni contro il terrorismo delle Br. Altri tempi, altri partiti né personali né padronali, altre leadership di spessore culturale e politico, di forte carisma. Oggi l’Italia tenta la via della svolta con un governo M5S-Lega. E’ il frutto del voto democratico degli italiani che hanno bocciato, non senza limiti, contraddizioni e rischi, tutto il passato. Salvini è l’interprete principale di questa svolta, lanciato col vento in poppa anche nei sondaggi, per cui per Pd e sinistra (ma non solo) è il nemico da battere. Si grida “al lupo! Al lupo!” seminando mine-boomerang. E’ il solito refrain di una partita rischiosa quanto fuorviante perchè inesistente: “anti razzisti” contro “razzisti”, antifascisti contro fascisti. Per coprire le proprie sconfitte elettorali e i limiti politici serve il “nemico” esterno: ma è un sasso lanciato in alto che ricade sul capo del lanciatore. Si scomodano teorie: la piattaforma politico-ideologica del M5S (Casaleggio associati&C) e della Lega è anti democratica, spinta dall’odio di facinorosi perditempo e quindi questo “governo dell’orrore” è “antidemocratico”, perciò da abbattere come il suo attuale vessillifero Salvini.

Via Matteo, dunque, il “burattinaio” del governo giallo-verde, definito un “figuro” irresponsabile, cinico, minaccioso, insomma un “belzebù”, il nuovo Satana scomunicato dai vescovi per la svolta nella politica migratoria. Da qui la proposta dei “soliti noti”: di fronte a questa “ondata cattivista” con sbocchi “razzisti “ e derive “fasciste” Pd e sinistra devono riunirsi in un nuovo “Fronte popolare” anti Salvini. C’è chi va oltre: il “Fronte popolare” non basta perché rinchiuso nel recinto della sinistra: contro il sovranismo e il populismo giallo-verde serve una inedita “alleanza democratica ”, da Fratelli d’Italia all’estrema sinistra.

Come se oggi l’esempio della presidenza Rai (Foa) fosse il “valore” per un simile progetto di partnership, come se ieri leggi quali il divorzio e lo statuto dei lavoratori fossero state il frutto di “fronti popolari” e non di spinte innovative oltre i vecchi schemi e le vecchie allenaze, come se la politica dei “fronti popolari” non fosse sempre stata portatrice di sconfitte storiche per la sinistra e di miserie e lutti per le nazioni. Zero più zero fa sempre zero. Mettere insieme i perdenti produce sconfitte. Chi - da sempre protagonisti di amalgama mai riuscite e di ripetuti fallimenti politici e storici - oggi invoca nuovi impossibili “Fronti” perché non si chiede come mai gli italiani nelle urne hanno bocciato alcuni premiando altri?

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