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Politica
M5s e democrazia diretta? Gli italiani decidano chi non votare

La democrazia diretta per come la intenderebbero i 5 Stelle, che hanno in Luigi Di Maio il candidato premier alle elezioni politiche del 4 marzo, è una novità. Anche nelle antiche Atene democratica e Roma repubblicana, laddove c’erano tali istituzioni democratiche dirette, venivano posti dei paletti se non altro in funzione del censo (oltre che di genere per ovvie ragioni storiche). Forse neppure la breve esperienza della Comune di Parigi del 1871 – dove sventolò per la prima volta la bandiera rossa – ci arrivò.

Il fatto che il popolo decida così, che online scelga i candidati alle elezioni e intervenga sulle proposte di legge, direttamente, con la semplice maggioranza, susciti una reazione nei partiti politici, dal Pd a Forza Italia alla Lega a Fratelli d’Italia, può significare che ciò è istintivamente percepito come un’anomalia. Di là che una simile democrazia sembra ignorare il senso delle proporzioni: proporre una legge in 2.000 persone è una cosa, in 10 milioni un’altra, in buona sostanza la politica sembra aver sempre rappresentato una sorta di tramite, di mediazione tra l’elettore e le istituzioni. Per questo Spengler definisce la politica la forma più alta dell’esistenza, ma visti alcuni parlamentari italiani, pur senza generalizzare, una siffatta affermazione oggi sembra purtroppo non valere… si immagini che Parlamento, con tutti gli eletti che esprimono la forma più alta dell’esistenza.

Per tornare alla democrazia diretta, con tutto il rispetto, se è vero che il popolo può essere dotato di intelligenza (un dono, coltivabile anch’esso, che è trasversale a tutte le classi sociali), lo può essere meno dell’intelletto, che è connesso al sapere e in una qualche misura all’istruzione, certo nella forma più alta del termine. In questo senso può sembrare vera la regola di Platone: “Impossibile che la massa filosoficamente rifletta”.

Viviamo nella società affluente dove tutti hanno qualche minuto di celebrità. La Rete ha cambiato tutto. Che limiti bisogna porre? La laurea? Che dire di quanto accomuna tanti giornalisti e politici che non sono laureati? Tutto è relativo, ma è più probabile che sia più istruito e colto un laureato di chi ha il diploma di seconda elementare. Certo non si può tornare come discrimen al censo nel senso pieno borghese del termine (cultura, fama, anch’essa relativa, e soldi). La colpa sembra essere anche dei partiti tradizionali. Ormai non sono più espressione sociale, come lo erano la Democrazia Cristiana (Dc) o il Partito Comunista Italiano (Pci). Oggi sono movimenti con al centro il leader di turno. Il sospetto che hanno gli italiani, è che si badi alla poltrona: infatti i notabili dei partiti avranno i loro posti assicurati alle prossime elezioni politiche, grazie al cosiddetto paracadute nei listini proporzionali. Per questo gli italiani dovrebbe scegliere in base al ragionamento inverso per fare la cosa giusta: decidere chi non votare. E così, oltre perché opposto alla stupida disunione del centrosinistra, si spiega l’affermazione nei sondaggi del centrodestra, costituito da partiti e leader appunto più tradizionali nel senso migliore del termine, in ordine alfabetico: Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni, Matteo Salvini (con la Lega è che il più antico partito presente in Parlamento).

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