Elezioni 2018, Pd: è il 22% la Maginot di Renzi
Elezioni 2018, Pd: sotto questa soglia il segretario rischierebbe di perdere la poltrona n. 1 del Nazareno
Nel Pd, scrive Italia Oggi, si continua a fare la conta dei morti e dei feriti: Il ministro della giustizia Andrea Orlando? Ha avuto una dozzina di posti sicuri e ne aveva chiesti una quarantina. Il presidente della regione Puglia Michele Emiliano? Avrà tre eletti sicuri e ne aveva chiesti una ventina. Il ministro dell'agricoltura Maurizio Martina? Ridimensionato pure lui, solo cinque seggi sicuri, così come l'uomo forte del partito per eccellenza, il ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini, cinque seggi sicuri anche per l'uomo che nei mesi passati controllava il Pd.
Solo Matteo Orfini, il fedelissimo segretario Pd è stato premiato da Matteo Renzi: una dozzina per lui i seggi sicuri.
Ma i conti sono comunque stati fatti senza l'oste. Perchè i conteggi in casa Pd sono stati fatti con simulazioni al 23%. Dunque se come molti temono il partito dovesse scendere sotto questa percentuale molti di quei già pochi «seggi sicuri» andrebbero perduti. Tanto che dal nazareno raccontano che se il Pd si fermasse al 22% rischierebbero anche molti capilista Pd, specialmente quelli delle zone d'Italia ritenute più deboli. Ed è questa la deadline oltre la quale Matteo Renzi rischia la segreteria, la poltrona: il 22%.
Sotto questa soglia, continua Italia Oggi, la percezione della sconfitta sarà talmente chiara e forte che sarà impossibile per chiunque non farne i conti. Anche per lo stesso Renzi già miracolosamente sopravvissuto alla Caporetto referendaria.
Sotto il 22%, infatti, Matteo Renzi non avrebbe i numeri, l'autorevolezza e il peso politico per potersi sedere al tavolo della «grande coalizione».
Sotto il 22% inoltre difficilmente potrebbe essere il primo gruppo parlamentare. Per cui sarebbe sconfitta totale. Renzi ha un'unica strategia, non potendo vincere, a differenza di Berlusconi, anche come coalizione: le larghe intese. Con una postilla che si va facendo strada in questi giorni: se il Pd andasse discretamente bene (ottenendo almeno un 25%) il segretario potrebbe aspirare a fare il premier (e potrebbe con forza far valere lo statuto del partito che lo prevede) mentre con un risultato negativo non gli rimarrebbe che la carta di Paolo Gentiloni per poi tentare di far parte del governo come ministro degli esteri (che avrebbe anche promesso a Gentiloni, a parti invertite) o di presidente del Senato.