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Palazzi & potere
"Bisogna rendere manifeste le cose che uniscono": parla Arturo Parisi

Alla luce di quanto sta accadendo nel PD e a sinistra del PD quale potrebbe o dovrebbe essere il percorso futuro del centro-sinistra in Italia? Lei cosa auspica?

La ripresa di un cammino che punti ad offrire ai cittadini una proposta di governo che unisca tutte le forze di centrosinistra interessate a condividere la responsabilità del governo del Paese nell’immediato, non in un lontano futuro. Lo stesso obiettivo che nel 1995 ci proponemmo con il lancio del progetto dell’Ulivo, ma con la consapevolezza che nel frattempo sono cambiate troppe cose. In male visto che attorno a noi il Mondo sta esplodendo ormai da tempo in mille pezzi, e all’interno. Invece di andare oltre il Mattarellum con una legge che incoraggiasse una unità che desse all’Italia un governo capace di guidare la nostra barca in questo Mondo in burrasca, siamo finiti con il Rosatellum che prendendo atto delle nuove divisioni tende a renderle ogni giorno più stabili e profonde. Nel perimetro del centrosinistra è nato nel frattempo un partito che, a stare all’ultimo sondaggio della 7 di domenica scorsa viene valutato del 26,5% su un totale di 31,4%, cioè a dire più dell’80% dell’intero campo. Un fatto che è allo stesso tempo un bene e un problema. Dentro il residuo 20% sopravvive infatti una attesa, che la nostra storia politica induce a riconoscere, oltre la sua quantità oggettiva, come una pretesa plausibile.

Secondo lei i 'padri nobili' della sinistra italiana dovrebbero intervenire per dirimere la questione?

Potrebbero. Ma solo se quelli che lei definisce figli li riconoscessero padri e nel contempo nobili. Se le parti non sentono per prime e in prima persona la necessità di riconoscersi reciprocamente pensando al Paese e soltanto al Paese, ho idea che l’appello che si va ripetendo perché i padri discendano sulla scena del dramma del centrosinistra come un tempo scendevano i “deus ex machina” finisca per fare più male che bene: ai padri, ai figli, e alla stessa riuscita della rappresentazione.

Come giudica la discesa in campo del presidente del Senato Pietro Grasso?

Visto che parlavamo dei “deus ex machina” della tragedia greca diciamo meglio “entrata in campo”. Anche perché non è da divinità che Grasso entra in campo, ma come lui stesso ha detto solo qualche settimana fa a Napoli, da “ragazzo di sinistra”. Proprio per questo, perché nel campo sembra volerci entrare da sinistra e da ragazzo, il suo ingresso può aiutare ad arricchire e a rinnovare l’identità dell’intero campo. Una identità che anche grazie al fatto che quel ragazzo ricopre oggi la seconda carica dello Stato è più che mai l’identità di una sinistra responsabile, una sinistra di governo.

Ormai il PD viene dato dai principali sondaggisti attorno ad un quarto dei voti validi. Cosa può fare per risalire la china? Lei crede veramente come Renzi che ci sia la possibilità di ottenere il 40%?

Se il 40% fosse ancora un riferimento plausibile in effetti sarebbe giusto parlare di risalire la china. La verità è che il 40% il Pd lo ha raggiunto in una occasione che è oggi difficilmente ripetibile in una prova tutta particolare come le elezioni europee, dalla quale lo stesso Renzi invitò a prendere le distanze anche se purtroppo soltanto alla vigilia del voto. Il risultato che domenica scorsa M5S ha raccolto in Sicilia e perfino in un municipio della Roma di Raggi, ci dice che il 33,2% raccolto da Veltroni nel 2008 nell’Italia pre-grillina è un dato lontano. È l’aggregato di centrosinistra che nel suo insieme deve oggi cercare di recuperare la distanza dal dato di allora. Ripeto: dal 33,2% delle politiche del 2008 non dal 40% delle europee del 2014. Dentro questo quadro il Pd deve almeno  tenere e il Centrosinistra crescere.

Quali potrebbero/dovrebbero essere per il Pd i punti qualificanti con i quali presentarsi agli elettori nel 2018?

In sintesi direi che il Pd deve prendere consapevolezza della responsabilità di ricostruire e animare il campo del centrosinistra di governo. Vocazione maggioritaria è la chiamata a costruire una maggioranza di cittadini che è accomunata innanzitutto dalla preoccupazione di dare all’Italia un governo figlio della democrazia. Io non ho mai pensato che il Pd potesse farcela solo. Se per un momento qualcuno lo ha pensato ora è chiaro che quel momento è passato. La nuova legge elettorale ha seppellito per un bel po’ questa illusione. Pur nel quadro della Rosato, che considero una legge sciagurata, bisogna salvare il salvabile ed evitare che la logica divisiva del proporzionale si affermi oltre la lettera della legge e si trasferisca dal centro in periferia. Guai se i governi locali finissero coinvolti nelle divisioni romane e nella instabilità del governo centrale.

In che modo provare allora a salvare il salvabile?

Gli apparentamenti elettorali della Legge Rosato sono molto molto lontani dalle coalizioni di governo del maggioritario. Ma servono almeno a non perdersi di vista e a frenare la disgregazione che dal livello nazionale può - ripeto - trasferirsi al livello locale. È difficile, ma bisogna provarci. Ma non possono neppure trasformarsi in un sistema generalizzato di desistenze o, come sento dire, in meri accordi tecnici. Anche un apparentamento pensato per sommare i voti dei partiti e sottrarre seggi agli avversari deve disporre di una qualche qualità e di un minimo di riconoscibile unità. Senza di questo i partiti apparentati finirebbero nella quota proporzionale per sottrarsi reciprocamente i voti a favore dei partiti apparentati, e nei collegi maggioritari a favore degli apparentamenti concorrenti. Anche se a questo punto l’impresa è ardua, bisogna perciò provarci, ma provarci sul serio. Le ore volano.

Sì, ma non vorrà negare le differenze che restano?

Non si tratta di nascondere le differenze, ma di riconoscersi in quello che unisce. Che è molto: dalla politica europea a quella estera, dal fenomeno della immigrazione ai diritti civili. Se penso alle differenze che esistevano tra i partiti dell’Ulivo e tra quelli dell’Unione non c’è confronto. È vero noi lavorammo allora al programma in ambedue i casi per più di un anno, mentre ora il tempo si misura ormai a settimane. Ma la distanza dei punti partenza è incomparabile.
Bisogna rendere manifesta la qualità che già esiste dietro la quantità che si cerca.

Si è sempre accusato Matteo Renzi di imitare Berlusconi ma adesso c'è chi come Franceschini gli chiede apertamente di copiare il centrodestra: lei cosa ne pensa?

Se imitare Berlusconi significa mettere in campo una aggregazione competitiva sono completamente d’accordo. È esattamente quello che facemmo con Prodi nel ‘95 a partire dalla lezione che Berlusconi ci aveva dato sconfiggendoci nel ‘94. Ma lo facemmo a modo nostro: mettendo in campo il
progetto dell’Ulivo del quale nonostante i 22 anni passati qualcuno ancora si ricorda. Mentre nel ‘94 lui ci aveva battuti mettendo insieme due coalizioni tra loro opposte che durarono 8 mesi e delle quali si fa fatica a ricordare il nome.
É il bello della democrazia: la competizione, l’emulazione, e soprattutto la possibilità di correggere gli errori, non l’illusione di riuscire a evitarli.

E per il candidato premier andrebbe espresso prima o bisognerà attendere il risultato del voto?

È un problema che non esiste più. Solo il fatto che la nuova legge elettorale sia pubblicata soltanto oggi sulla Gazzetta Ufficiale può spiegare il ritardo col quale si comincia a prendere atto che con il Rosatellum è tutto cambiato. Assieme alle coalizioni di governo  sono venuti meno i capi e le loro pretese, e, assieme alle pretese dei capi le attese che i capi coalizioni diventino automaticamente capi di governo. Gli apparentamenti del Rosatellum sono al massimo compatibili con l’impegno a deciderne assieme. Ma dopo. E io aggiungo purtroppo. Perché mai continuare a farsi inutilmente del male?

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