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Politica
Pd, Zingaretti sotto il tiro dei “cecchini” renziani

A 50 giorni dalle elezioni Europee, nelle acque agitate del Partito democratico si incrociano le cannoniere per definire alleanze e liste, spartire poltrone. Il segretario Zingaretti, nell’affannosa ricerca di scialuppe per non affogare alle urne del 26 maggio, è pronto a tutto, anche ricandidare eurodeputati Mdp nella lista Pd-Siamo Europei. Immediata, la bocciatura di Carlo Calenda: “ Sono indigeribili – chiosa l’ex vice ministro allo Sviluppo - e non li voglio dentro casa”. A sua volta l’ex premier Prodi stronca Calenda spronando il segretario Pd: “O si fanno le coalizioni, oppure si perde”. La coperta è corta: aprendo ai Bersani, Speranza&C Zingaretti rischia di ravvivare nostalgie… sinistre recuperando i “4 gatti” della “Ditta” ma allontanando il grosso dell’elettorato “moderato”, in libera uscita. Insomma, litigano nel Pd e dintorni, come e più di prima, anche se sul fronte opposto, volano stracci fra M5S e Lega.

La differenza c’è: mentre il Pd è fuori dalle stanze dei bottoni e la sinistra è squagliata, Di Maio e Salvini sono al governo e le baruffe con stilettate reciproche servono per smarcarsi, ad uso elettoralistico, utili soprattutto al leader dei 5Stelle per fermare l’erosione elettorale e recuperare voti (come dimostrano gli ultimi sondaggi), ma anche al capo leghista che, forte del vento in poppa, spinge per il “cambio di passo” dell’esecutivo. In tale contesto, non è da escludere l’incidente di percorso capace di mandare tutto a “carte quarantotto”, cioè tutti a casa. Ma, oggi, una soluzione di ricambio non c’è, né con governi politici né con governi tecnici. Ecco perché Salvini, sornione, fa il “pascià”, aspettando l’esito del 26 maggio, un trionfo annunciato per sé e per la sua Lega. Il rischio è la paralisi politica, con pesanti conseguenze sull’economia, in recessione e con un livello record del debito pubblico, con sullo sfondo una ennesima manovra-batosta per gli italiani.

Gli ultimi sondaggi (Ipsos), caldi caldi, rafforzano i due partiti di governo, con il recupero del M5S (risale al 23,3%) e la conferma della super-Lega (35,7%), con i partiti di opposizione in affanno: a sinistra il PD sotto il 20% (19%) e a destra Forza Italia sotto il 10% (9,9%). A sinistra, a parte il Pd, nessun partito supera la soglia del 4% mentre a destra è in bilico FdI (4%). Infine, resta assai elevata l’area astensione-indecisi, ben oltre il 40% (42,9%). Siamo, più o meno, al gioco dell’oca. E, a sinistra, siamo alle solite, con il “nuovo” Pd di Zingaretti già col fiatone e con i cespugli di area, vaganti, litigiosi, impelagati in estenuanti quanto inutili beghe, trattative, assemblee congressuali, fuori dalla realtà. Insomma, ci si azzuffa per le candidature, non per la politica. Non saranno pochi decimali in più o in meno alle elezioni del 26 maggio a modificare il peso e il ruolo politico del Partito democratico che dopo l’illusione di un sussulto post primarie rimane un “malato” stazionario.

La “spinta propulsiva” di Zingaretti, se non esaurita, si è già afflosciata, rimanendo il Pd all’interno della propria area di riferimento, incapace di riportare alle urne il grosso degli astensionisti, di sfondare nell’elettorato del M5S, di recuperare a sinistra e fra i moderati. Il Pd resta espressione dell’establishment, votato per lo più dai ceti elevati, dai pensionati, dagli anziani e non si interroga sul perché il partito di Salvini è trasversale, fortemente insediato nei ceti popolari ottenendo il massimo dei consensi fra gli operai. Nella sostanza, Zingaretti è ondivago sulla “linea” politica, un uomo solo al comando, segna il passo, incapace persino di dare seguito a quel rinnovamento profondo dei gruppi dirigenti, cavallo di battaglia delle primarie.

Rinviare al dopo 26 maggio la formazione della segreteria nazionale, le presidenze dei gruppi parlamentari ecc., dimostra che al segretario mancano l’autorevolezza e la coesione interna per passare dalle parole ai fatti. La campagna elettorale, oltre alle idee chiare e convincenti e al fronte comune dei gruppi dirigenti, ha bisogno di una base motivata che sul territorio torni decisa e convinta a confrontarsi con i cittadini, “casa per casa”. Un partito dalla linea confusa e dal percorso a zig-zag, tutt’ora a “volo radente” e con le “orecchie basse” più che altro dedito a rimpallarsi colpe sulle divisioni e sulle sconfitte riaprendo antiche ferite, il 26 maggio rischia una nuova bocciatura.

Gira e rigira, riaffiora lo scontro fra renziani e anti renziani, con i fan dell’ex “rottamatore” tutt’altro che convinti di mettere la croce sulla lista Pd, anzi già schierati per ripicca o per vendetta, a votare e far votare qualunque partito (+Europa ecc.) meno il Partito democratico. Per i renziani, un Pd in ripresa oltre il 20% o addirittura sul 25%, sarebbe la prova provata che quel nefasto 18,7% delle politiche del 4 marzo 2018 porta la firma di Matteo Renzi e dei suoi errori seppellendo definitivamente ogni chance di rivincita dell’ex segretario ed ex premier e dei suoi supporter. Così Zingaretti si muove su un terreno minato, con la zavorra, sotto il tiro dei “cecchini” renziani e il Pd resta in mezzo al guado.

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