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Politica
Salvini “balla” da solo: la sberla al Cav come quella di Craxi a Berlinguer?
Foto LaPresse

Se sono solo fuochi d’artificio si vedrà. Fatto sta che l’inaspettato voto al Senato della Lega sulla forzista Bernini strappa il centrodestra tenuto insieme con lo sputo e fa sbroccare Berlusconi: “Un atto ostile, alleanza finita”. Cornuto e mazziato, si potrebbe dire del Cav. Privato (forse) della “compagnia” di Forza Italia e del suo ingombrante rais, Salvini è oggi indebolito – almeno apparentemente - nella trattativa per il governo. Trattativa che può presentare, se non nuova musica e nuovi musicanti, un rimescolamento dell’orchestra, con il leader della Lega con la bacchetta in mano. Perché questa scelta di Salvini? A cosa punta? Con il voto del Senato Salvini non ha compiuto uno sgambetto ammonitore rispetto ai primi nodi della nuova legislatura, un atto impertinente verso il “gran burattinaio” di Arcore, una mossa insensata dettata da gelosie interne e pruriti di potere. Smarcandosi (finalmente!), Salvini mette le ali e prova a volare da solo: verso dove, si vedrà. E’ comunque un atto politico, il primo di una nuova strategia di lungo respiro – da ben definire e gestire - con conseguenze fuori i confini del centrodestra a trazione berlusconiana e con sbocchi politici oggi inimmaginabili. Dallo strappo di Salvini forse non è ininfluente l’aria che tira nel post voto, sancita nell’ultimo sondaggio (Awg) con il proseguimento della corsa trionfale del M5S (al 35,2%), con il rallentamento della Lega (21,6), con il tracollo di Forza Italia (10,1%). Insomma, l’elettorato italiano non pare per nulla assestato e pago del risultato del 4 marzo, pronto a dare un ulteriore scrollone alla pianta rinsecchita dei parti malandati. Un campanello d’allarme che ha fatto rompere gli indugi a Salvini per ridefinire una nuova identità della Lega iniziando dalla affermazione di una lucida strategia di autonomia politica. Non è stato sempre così in Italia, nei momenti di svolta? Non fu così il craxismo (dai risvolti contraddittori) dell’autonomismo del Psi dal duopolio pigliatutto Pci-Dc, quel nuovo corso socialista – almeno nella sua prima fase “rivoluzionaria” del Midas - con le intuizioni di modernizzazione della politica e della società? Salvini come Craxi? Bettino prese il partito demartiniano in agonia con il colpo di mano dei “quarantenni” puntando tutto sull’autonomia del Psi, per decenni al gancio prima del Pci poi della Dc o di entrambi.

In quella nuova leadershi c’era valore ideale e culturale, sostanza politica, capacità di tradurla in programma di governo, in un progetto dove portare l’Italia fuori dai comunisti e oltre i democristiani. Anche qui la prima mossa – un vero e proprio pietrone nello stagno della sinistra monopolizzata dal Pci – doveva partire contro gli antichi compagni di viaggio, i comunisti, usando il loro punto di forza, la ideologia, smantellandola sin dalle fondamenta. Craxi, demonizzato da Berlinguer, il più scettico sul tentativo di rinnovamento dei comunisti italiani, smontava – appunto - l’impalcatura teorica comunista tanto da contrapporre in un documento-manifesto nel 1978 l’eretico sconosciuto Proudon al santificato Carlo Marx dando il via al nuovo corso socialista, alla svolta riformista che scandalizzerà e scuoterà fino all’implosione la sinistra di matrice marxista. Il 13 maggio 1979 Craxi tuonò: “Alzi la mano chi vuole il comunismo in Italia” arrivando a disinnescare la “terza via” berlingueriana, bollata come un “oggetto misterioso”. Craxi scagliò dritto il dardo incandescente nel cuore dei comunisti, una ferita che non si rimarginerà più. Per il Pci, rifugiatosi nelle casematte della “diversità” e delle “mani pulite” fu il primo vero duro colpo dal dopoguerra, l’inizio della fine che giungerà con la caduta del muro di Berlino e l’implosione dell’Urss, l’imbocco della via crucis in cui la sinistra italiana si trova tutt’ora. Il Psi – non privo di ambiguità e zavorre - aveva ragione. Sui nodi centrali aveva ragione Craxi – personaggio controverso ma di grande spessore politico - che riformò la sinistra, diede lampi di dignità al Paese, forse illudendosi e illudendo, rivoltò il partito come un calzino, senza però curarsi dei roditori: “Il rinnovamento – chiosava Bettino – non può prendere le mosse da un mero dato anagrafico, va realizzato attraverso una acquisizione di valori di principio e di metodo che devono investire tutti e tutto il partito”. Poi si sa come finì la storia, nel bene e nel male. Ma era politica. Ha oggi, questo Salvini, oltre lo spunto tattico e polemico, l’incedere potente, profondo, carismatico dell’ex leader socialista, il passo e il guizzo del cavallo di razza? Saprà dare un segnale di credibilità nel caravanserraglio dei partiti? Gli italiani, dopo aver superato l’epoca delle ideologie devono oggi superare quella delle etichettature, valutando i fatti, giudicando la politica e i politici sui risultati. Questa, per Salvini che con la scossa del voto del Senato ha voluto emulare Craxi, è la prova decisiva. Non è facile trasformare un capo popolo di slogan urlati e promesse annunciate in un leader e domani, chissà, in uno statista. La prova è qui e adesso e non consente errori.

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