Mediterraneo nascosto, tra siti archeologici e sapori tipici
L'antica tradizione berbera del Cous Cous e la Tunisia 'Granaio di Roma' alle porte del deserto, fanno da sfondo al Festival del Cous Cous a San Vito Lo Capo TP
L’accostamento, quasi naturale, tra il cous cous e la sabbia del deserto segna in maniera fortemente identitaria la tradizione berbera - quella delle comunità indigene del Nord-Africa - tanto da rappresentare il piatto nazionale della sponda meridionale mediterranea, le cui innumerevoli declinazioni di abbinamento - con i sapori autoctoni locali - sin dall'antichità affascinano le tavole non solo di quella più a nord, ma anche le ricette tipiche dell’intero Medio Oriente.
Ne è testimonianza, in Sicilia, il Festival del “Cous Cous” come pretesto nobile “Per palare di pace e solidarietà tra popoli”, all’insegna del motto ‘Make cous cous, not war’, come sottolinea con orgoglio il sindaco di San Vito Lo Capo (Tp), Giuseppe Peraino: “Il Cous Cous Fest è un appuntamento dalla tradizione ultra ventennale, l’evento di punta del territorio che porta il nome di San Vito Lo Capo nel mondo. Anche quest’anno abbiamo avuto chef internazionali, grandi ospiti e illustri artisti, per una festa all'insegna del gusto, del divertimento e del confronto tra culture”.
E’ stata la Tunisia a vincere, per quinta volta, questo originale Campionato del Mondo del Cous Cous, svolto tra 10 paesi in competizione ai fornelli. La ricetta di Nabil Bakouss, che lavora al prestigioso ristorante Joia a Milano, dello chef di origini svizzere Pietro Leemann, coadiuvato dagli chef Youssef Abdelli e Lamjed Hosni, è stata la più apprezzata dalla giuria tecnica, tra quelle dei paesi in gara: Angola (campione in carica), Costa d’Avorio, Israele, Italia, Marocco, Palestina, Tunisia, Senegal, Spagna e Stati Uniti.
La giuria di esperti, presieduta da Fiammetta Fadda, firma di Panorama, ha visto impegnati negli assaggi 14 tra giornalisti, chef e blogger. La ricetta tunisina, “Mare Nostrum”, è un cous cous al gambero rosso, harissa grigliata e hummus al finocchietto. Ad Israele, rappresentato dallo chef Moshe Basson del ristorante Eucalyptus di Gerusalemme, è andato il premio per la migliore presentazione del piatto.
La giuria popolare, composta dai visitatori della manifestazione, ha premiato invece il Senegal, con Ndaye Alioune Badara detto Paco, italiano d’adozione, che ha studiato ad Alma con Gualtiero Marchesi. Agli Stati Uniti, rappresentati dallo chef Marc Murphy, che gestisce la catena dei ristoranti Benchmarc Restaurants e fa parte del Diplomatic Culinary Partnership del Dipartimento di Stato americano, è andato il premio Salute e benessere. .
Come il riso e come il pane, il cous cous può essere considerato un ‘cibo culturale’: economico, molto nutritivo e adatto ad essere conservato a lungo, il che lo rende il cibo ideale per le carovane delle popolazioni nomadi, che ne fanno grande uso.
Il Cous Cous è anche il cibo principale del Venerdì e delle celebrazioni che segnano la fine del Ramadan e, grazie a questi usi, viene associato anche ad un'idea di abbondanza, fertilità, fedeltà e benedizione divina. Tanto che, durante la sua preparazione, è proibito alle donne parlare di argomenti nefasti. L’atteggiamento da assumere deve essere beneaugurante: fare invocazioni, conversare di argomenti religiosi, di prosperità, di affetti e buoni propositi.
Piatto berbero per antica tradizione, il cous cous richiede un tempo di preparazione piuttosto lungo: il semolino va prima inumidito, poi si preparano i granelli che verranno ricoperti da una finissima farina di grano. Esso va cotto in una particolare pentola a vapore e va inumidito con acqua, burro e olio; va lavorato con le mani ogni 10 - 15 minuti, per evitare che si formino granelli troppo compatti. È pronto quando i granelli si presentano umidi, soffici, ma ben separati tra loro.
Il ventaglio di varianti regionali nella preparazione del Cous Cous è larghissimo: gli algerini lo preparano con pomodori e una gran varietà di legumi, i marocchini con lo zafferano e i tunisini con ceci e la piccante “harissa”. Per tutti gli ingredienti base sono verdure di stagione, legumi, carne o pesce. Può essere preparato anche come dessert, con mandorle, cannella e zucchero e servito con latte profumato con sciroppo di fiori d'arancio.
Durante il dominio romano, la Tunisia era considerata il granaio di Roma, per la fertilità delle sue terre, in particolare quelle di Dougga. Nella regione nord-occidentale del Paese, sulla cima di una collina a 571 m. di altitudine, nella valle di Oued Khalled, dove oggi si conserva l’omonimo sito archeologico dell’antica città di Thugga che, prima dell’annessione romana della Numidia, era la capitale di un riconosciuto stato libico-punico.
Il sito, che dal 1997 è annoverato nella lista dei Patrimoni Mondiali dell’Umanità dell’UNESCO, è testimonianza di una città numida romanizzata, molto fiorente nel periodo bizantino, sviluppata in modo davvero interessante ed unico dal punto di vista urbanistico: i quartieri erano disposti a terrazze, di cui le centrali erano destinate alle abitazioni private più importanti e agli edifici pubblici.
Dougga, ancora oggi, è un sito archeologico di sintesi tra le diverse culture che l’hanno vissuta tra il II e III sec d.C, nonché l’esempio meglio conservato di una città africo-romana, in cui Capitolium o Tempio Capitolino - eretto al tempo dell’imperatore romano Marco Aurelio (167 d.C) - testimonia la devozione alla Triade Capitolina: Giove, Giunone e Minerva un vero e proprio culto nazionale per l’antico popolo romano.
(gelormini@affaritaliani.it)
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