Il cinema iraniano si fa conoscere
Oggi parlerò de “Il sapore della ciliegia” di Abbas Kiarostami.
Siamo a Cannes, nel 1997. Cinquantesima edizione del Festival del Cinema.
La giuria che dovrà assegnare i premi è presieduta da Isabelle Adjani (a modesto parere di chi scrive queste note, la donna più bella del mondo, almeno fino a qualche anno fa). Fanno parte della commissione giudicatrice famosi personaggi del mondo della settima arte, fra cui ricordo almeno Gong Li, Tim Burton, Mike Leigh e Nanni Moretti: tranne Mike Leigh, di cui tratterò nella prossima scheda, tutti già entrati nelle mie recensioni.
[Volendo chiudere con le auto citazioni, a Cannes 1997, partecipano anche -fuori concorso – “Viaggio all’inizio del mondo” di Manoel De Oliveira e per la categoria “Un Certain Regard” “Marcello Mastroianni – Mi ricordo, sì, mi ricordo”, film documentario di Anna Maria Tatò sul grande attore appena scomparso.]
Ma torniamo al festival: la Palma d’Oro viene assegnata ex aequo a “L’anguilla” di Shohei Imamura e a “Il sapore della ciliegia” di Abbas Kiarostami.
Con la vittoria di Kiarostami, approda ufficialmente in Europa il cinema iraniano, dal momento che, contrariamente a quanto accade di solito con i vincitori dei vari festival, il film ha un buon riscontro anche al botteghino.
La cinematografia iraniana ha una storia ricca e variegata. Si parla di una “Nouvelle Vague”, di una “seconda Nouvelle Vague” e – per alcuni – anche di una terza.
La censura
Il discorso è strettamente legato alla storia recente di questo paese. In principio ci fu lo Scià (Mohammad Reza Pahlavi) e i vari autori si dovevano uniformare alle direttive del regime. Poi, con la rivoluzione khomeinista, da un lato arrivò maggiore libertà, ma, dall’altro, fu necessario che gli artisti si attenessero anche rigidamente ai dettami dal Corano.
Ad esempio, quando viene eletto presidente dell’Iran Mahmud Ahmadinejad, la censura statale si fece sentire con tutta la sua ferocia. Il 2 marzo 2010 il famoso regista Jafar Panahi, amico e collaboratore di Abbas Kiarostami, venne arrestato per la partecipazione a movimenti di protesta contro il regime. Si mobilitarono le organizzazioni a difesa dei diritti umani e vennero raccolti appelli per la sua liberazione in tutto il mondo. Nonostante ciò, Panahi fu condannato a sei anni di carcere, con la preclusione di dirigere, scrivere e produrre film.
Resta solo da dire che negli ultimi tempi in Italia, ma un po’ in tutto l’occidente, è spuntato l’astro di Asghar Farhadi, che, oltre che ottenere un buon successo nelle sale, è riuscito per ben due volte a vincere l’Oscar come miglior film straniero: “Una separazione” ( 2012) e “Il cliente” (2016).
Neorealismo iraniano
Abbas Kiarostami, classe 1940, può essere incluso nella seconda fase del cinema iraniano, anche se i suoi primi passi li ha compiuti sotto lo Scià. Decidendo di restare in Iran dopo la rivoluzione del 1979, ha rielaborato e modificato molti dei suoi lavori per adattarli alle nuove regole della censura del regime khomeinista. È morto il 4 luglio 2016 a Parigi, a causa di errori medici (compiuti da medici iraniani) durante un intervento di semplice asportazione di un polipo allo stomaco.
Il suo modo di fare film è stato influenzato in patria da Sohrab Shadid-Sales, che per primo ha adoperato la camera fissa ed ha mostrato come seguire una precisa linearità nelle storie da trattare. Fuori dal’Iran, i suoi maestri sono stati Roberto Rossellini e l’indiano Satyajit Ray.
L’ utilizzo del sonoro in presa diretta e di attori non professionisti, ha spinto i critici a parlare di neorealismo iraniano. I suoi lungometraggi, inoltre, mescolano la fiction al documentario e tendono a semplificare la narrazione, fino quasi a toccare il minimalismo. Spesso i suoi finali restano aperti, per aiutare lo spettatore a riflettere sulla lezione morale (che non manca mai) e per sottolineare la virtù creativa e mistificatoria del cinema.
Tutti gli elementi che ho appena elencato, sono presenti ne “Il sapore della ciliegia”.
La storia, quasi paradossale, racconta di un uomo che, girando con il suo fuoristrada in luoghi semidesertici nei dintorni di Teheran, va in cerca di qualcuno che – a pagamento – lo possa seppellire, dopo che sia riuscito nell’intento di suicidarsi. I vari personaggi che incontra si dimostrano contrari, tranne l’ultimo, alla sua decisione, argomentando le proprie tesi in maniera diversa. Tuttavia Kiarostami non ci rivela se il signor Badii (il protagonista) ha portato a termine la sua decisione o no.
Si tratta di un’opera cinematografica asciutta e rigorosa, che lascia lo spettatore privo di un finale, perché, quale che sia la risoluzione del protagonista, questa non è fondamentale per il film, come non lo è nella vita reale: ognuno di noi è tenuto a dare la propria risposta. Se vivere sia un dovere o una scelta, è infatti una domanda che chiama in causa interrogativi esistenziali ed etici che sono antichi tanto quanto la presenza dell’uomo sulla terra.
Note
Abbas Kiarostami nasce a Teheran. Si laurea all’università di Belle Arti della sua città e, prima di dedicarsi al cinema, lavora come graphic designer nella pubblicità e nell’illustrazione di libri per bambini. La sua curiosità lo ha portato a coltivare interessi diversi (è stato anche pittore, scultore, fotografo) e mi piace ricordare che ha pubblicato anche libri di poesia, che richiamano nella loro struttura gli haiku giapponesi: pochi versi, senza rima, in cui sono rappresentati piccoli frammenti di vita quotidiana.
Pochi giorni or sono, ho visto al cinema, l’ultimo lavoro di Jafar Panahi (“Tre volti”). Dando per scontato che Panahi sia stato assistente di Kiarostami, nelle inquadrature, nell’uso dei campi lunghi e – se volete – persino nella vicenda (diversa ma immersa anch’essa nel più profondo Iran), riaffiora più che una somiglianza con “Il sapore della ciliegia”.
L S D
Nell’immagine un fotogramma del film
Il sapore della ciliegia
Regia: Abbas Kiarostami
Interpreti: Homayoun Ershadi, Abdolrahman Bagheri, Afshin Khorshid Bakhtiari, Safar Ali Moradi, Mir Hossein Noori