I rapporti sempre più complicati tra gli Stati Uniti e il Pakistan rischiano di precipitare definitivamente in questi giorni dopo l’ennesimo durissimo scambio di accuse tra i due alleati. L’escalation delle tensioni con l’inizio del nuovo anno era stata segnalata dal primo “tweet” ufficiale di Trump del 2018, nel quale aveva denunciato l’atteggiamento dei precedenti governi americani, impegnati a finanziare Islamabad con “33 miliardi di dollari” per ricevere in cambio nient’altro che “menzogne e inganno”.

 

 

L’accusa rivolta dagli USA al Pakistan continua a essere principalmente quella di garantire protezione in maniera deliberata sul proprio territorio agli uomini del clan Haqqani, notoriamente alleato con i Talebani afgani e impegnato in attività “terroristiche” nel paese occupato dalle forze americane.

 

Da Islamabad la reazione alle parole di Trump non si è fatta attendere, visto anche che l’ultima uscita dell’inquilino della Casa Bianca si aggiunge a minacce e avvertimenti vari rivolti al Pakistan negli ultimi mesi. Il governo di questo paese ha definito “del tutto incomprensibili” i commenti americani, mentre la stampa, gli esponenti politici e militari sono entrati in uno stato febbrile che testimonia a sufficienza della gravità della crisi innescata dalla pericolosa involuzione dei rapporti con Washington.

 

Con un gesto plateale, il ministero degli Esteri di Islamabad lunedì ha anche convocato l’ambasciatore USA in Pakistan, David Hale, per chiedere chiarimenti sulle dichiarazioni di Trump e ha in seguito emesso una protesta diplomatica ufficiale.

 

Da parte americana non ci sono stati comunque cedimenti. Anzi, martedì l’ambasciatrice di Trump alle Nazioni Unite, Nikki Haley, ha annunciato la sospensione di uno stanziamento da 255 milioni di dollari in aiuti al Pakistan, il cui governo ha accusato di fare il “doppio gioco per anni”. Per la Haley, Islamabad “collabora talvolta con noi, ma protegge anche i terroristi che attaccano i nostri soldati in Afghanistan”.

 

Se questo atteggiamento dovesse continuare, ha aggiunto la rappresentante della Casa Bianca all’ONU, l’amministrazione Trump “è pronta a bloccare tutti i finanziamenti” destinati all’alleato centro-asiatico. Sempre dal Palazzo di Vetro è arrivata la risposta dell’ambasciatrice pakistana, Maleeha Lodhi, la quale ha ricordato agli USA che il suo paese ha dato il contributo maggiore alla lotta al terrorismo internazionale, per poi invitare la Haley a “non assegnare la responsabilità ad altri degli errori e dei fallimenti” americani.

 

La stessa diplomatica pakistana ha anticipato poi una qualche prossima iniziativa del governo di Islamabad quando ha ipotizzato una possibile “revisione della cooperazione” bilaterale tra i due alleati. Di questo si è con ogni probabilità discusso in un vertice convocato martedì del Consiglio per la Sicurezza Nazionale pakistano, presieduto dal primo ministro, Shadiq Khaqan Abbasi, e a cui hanno partecipato anche i ministri degli Esteri, dell’Interno e della Difesa, assieme ai comandanti delle forze armate.

 

Il Consiglio ha rilasciato un comunicato a tratti piuttosto duro nei confronti degli Stati Uniti. Oltre a esprimere la “profonda delusione” di Islamabad per le posizioni americane, l’organo governativo pakistano ha parlato di “insensibilità” e “contraddizioni” nei giudizi espressi a Washington, mettendo in guardia dai danni che da essi derivano alla “fiducia reciproca tra i due paesi”.

 

Che le minacce di inizio anno di Trump siano probabilmente solo l’inizio di una svolta più netta nelle relazioni con il Pakistan è stato confermato dalla portavoce della Casa Bianca, Sarah Sanders. Quest’ultima ha fatto sapere che ulteriori provvedimenti potrebbero arrivare già nei prossimi giorni ed essi saranno l’attuazione degli impegni presi da Trump nei mesi scorsi riguardo l’Asia meridionale.

 

In particolare, il problema dell’approccio al Pakistan da parte americana era stato affrontato nel piano per l’Afghanistan reso pubblico ad agosto e nell’ultimo documento strategico USA redatto dal Pentagono e presentato ufficialmente da Trump a dicembre. Il presidente aveva ancora puntato il dito contro Islamabad per non avere fatto nulla nel combattere i gruppi terroristi attivi in Pakistan pur ricevendo ingenti somme di denaro da Washington.

 

Vista la situazione, Trump preannunciava appunto un cambiamento di rotta in relazione al Pakistan. Tra i provvedimenti più estremi discussi dietro le quinte potrebbero esserci la fine dello status di “principale alleato non-NATO” del Pakistan e l’inclusione di questo paese tra quelli considerati “sponsor del terrorismo”. In maniera cruciale, poi, la nuova strategia si accompagnava al riconoscimento dell’India non solo come principale potenza emergente nella regione, ma anche come partner di primaria importanza degli Stati Uniti.

 

L’inasprirsi dello scontro tra USA e Pakistan è da ricondurre alle dinamiche geo-strategiche in atto nel continente asiatico e che, in breve, registrano un costante avvicinamento tra Washington e Nuova Delhi. Essendo l’India il rivale storico del Pakistan, il riallineamento strategico degli USA, inaugurato almeno da George W. Bush e proseguito con Obama e Trump, ha messo in crisi la classe dirigente di Islamabad, per decenni schierata a fianco dell’alleato americano nella promozione dei propri interessi sul fronte domestico e regionale.

 

La reazione pakistana al cambiato atteggiamento americano è stata così quella di dare un chiaro impulso alla partnership economico-strategica con la Cina, con cui peraltro Islamabad intrattiene tradizionalmente rapporti molto cordiali. Da qui derivano dunque i crescenti malumori e le intimidazioni degli Stati Uniti nei confronti del Pakistan.

 

Alcune considerazioni precise sulle implicazioni strategiche dello scontro tra Washington e Islamabad sono state espresse in questi giorni sul quotidiano pakistano in lingua inglese The Express Tribune dall’ex generale e ora commentatore, Talat Masood. Per quest’ultimo, “l’assegnazione di un ruolo di primo piano all’India in Afghanistan da parte americana”, senza tenere in considerazione l’appoggio di Delhi ai gruppi militanti anti-pakistani, “si scontra con gli interessi di Islamabad”.

I timori del Pakistan per la crescente influenza indiana nel vicino occidentale, continua Masood, restano un elemento di disturbo nei rapporti con gli USA e, allo stesso tempo, spiegano l’indisponibilità di Islamabad a prendere iniziative militari contro il clan degli Haqqani.

 

In altre parole, il Pakistan ha un rapporto quanto meno ambiguo con alcuni gruppi fondamentalisti attivi in Afghanistan, così come appoggiava il regime dei Talebani a Kabul prima del 2001, per mantenere la propria influenza in questo paese. Nonostante l’impegno ufficiale nella “guerra al terrore” dietro pressioni americane, Islamabad non può rinunciare del tutto a questi legami, utili evidentemente a contrastare la penetrazione indiana in Afghanistan favorita dagli Stati Uniti.

 

D’altro canto, sostiene lo stesso ex generale pakistano, “Washington ritiene dannosi per i propri interessi i legami sempre più stretti tra Cina e Pakistan”, concretizzatisi in questi anni nel lancio del cosiddetto “Corridoio Economico Sino-Pakistano”, cioè un progetto infrastrutturale che dovrebbe collegare i due paesi per favorire gli scambi commerciali e il transito di petrolio verso la Cina.

 

Queste dinamiche vanno a loro volta inscritte nei piani americani nel continente asiatico e che prevedono fondamentalmente il tentativo di contenimento dell’influenza cinese, da ottenere tra l’altro attraverso la costruzione e il consolidamento di una partnership strategica con l’India.

 

Come già spiegato, la promozione delle ambizioni indiane da grande potenza da parte americana ha destabilizzato la classe dirigente pakistana, la quale ha così “diversificato le proprie opzioni”, rivolgendosi alla Cina, ma anche alla Russia e all’Iran, cioè tutti i principali rivali strategici degli Stati Uniti.

 

Come traspare anche dai commenti apparsi sulla stampa pakistana, il governo e i vertici militari di questo paese sono teoricamente più che disponibili ad appianare le divergenze con Washington e a tornare a svolgere il ruolo di garanti degli interessi USA nella regione.

 

La scelta strategica americana di puntare invece in primo luogo sull’India ha però costretto Islamabad a muoversi in una direzione che, come l’irrobustirsi dell’alleanza tra Washington e Delhi, contribuisce a sua volta a stravolgere gli equilibri centro-asiatici. Il tutto con la pericolosa complicazione dei precedenti bellici tra Pakistan e India, nonché dei rispettivi arsenali nucleari.

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