Nel corso di una conferenza dedicata alla “governance” della rete, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annunciato questa settimana un accordo raggiunto con i vertici di Facebook per rafforzare i meccanismi di censura del social network in linea con gli interessi del governo di Parigi. L’esperimento, che inizierà all’inizio del prossimo anno, è stato presentato ufficialmente come un passo avanti nella lotta alle “fake news” e all’intolleranza che circolano su internet.

 

Nel concreto, esso si risolverà piuttosto in un nuovo giro di vite contro la libertà di espressione, attuato sempre più frequentemente attraverso la collaborazione tra i governi e le multinazionali della tecnologia e della comunicazione.

 

 

Macron ha parlato lunedì presso la sede dell’UNESCO a Parigi per denunciare in sostanza la degenerazione e l’abuso della rete, trasformata negli ultimi anni da “fantastica occasione” a “minaccia” per la società. A suo dire, gli strumenti oggi a disposizione esporrebbero le democrazie occidentali sia agli attacchi di “regimi totalitari”, vedi Russia, sia al potenziale destabilizzante degli incitatori di odio e razzismo.

 

Per esplorare una sorta di “terza via” alla gestione di internet, che si distingua sia dalla censura di paesi come la Cina sia dalla totale libertà e assenza di regole, l’inquilino dell’Eliseo ha proposto appunto il metodo “innovativo” e “cooperativo” nato dall’intesa con Facebook. Il team creato da qualche tempo dal social network americano con l’incarico di monitorare le attività dei propri utenti, e di censurare i post considerati “offensivi”, “infondati” o dal contenuto “intollerante”, sarà cioè affiancato per un periodo iniziale di sei mesi da non meglio identificati funzionari del governo francese.

 

Gli “esperti” di Parigi opereranno a stretto contatto con gli uomini di Zuckerberg e avranno accesso agli strumenti utilizzati da questi ultimi per intervenire in maniera arbitraria contro le opinioni espresse su Facebook giudicate contrarie ai principi che regolano i contenuti dello stesso social network.

 

L’ingresso degli uomini di Macron nelle stanze della censura di Facebook non comporterà, come sostiene il presidente francese, un consolidamento delle difese contro l’intolleranza e le forze anti-democratiche. Al contrario, il virtuale dissolvimento dei confini tra stato e compagnie private che gestiscono spazi di scambio di idee, con espliciti intenti inquisitori, rappresenta una seria minaccia alla libertà di espressione.

 

Dietro un apparente zelo per contrastare razzismo, antisemitismo, omofobia e “fake news” si nasconde un’attività censoria diretta sempre più contro opinioni e informazioni alternative a quelle dei media ufficiali, in particolare se di sinistra e di orientamento socialista. Quasi sempre senza spiegazioni che non siano semplici avvisi generici di violazione delle norme di comportamento del social network, Facebook sta infatti intensificando la soppressione di post e profili che criticano da sinistra governi e media “mainstream”.

 

Circa un mese fa, ad esempio, Facebook aveva improvvisamente cancellato dalla propria piattaforma 800 pagine di informazione e attivismo politico, con orientamenti sia di destra sia, soprattutto, di sinistra. Le motivazioni erano da collegare quasi sempre alla presunta “non autenticità” di questi stessi profili. Giornalisti e attivisti che li gestivano, spesso ottenendo dalla presenza su Facebook gran parte della propria visibilità, avevano in molti casi protestato duramente contro un provvedimento considerato ingiustificato e illegittimo.

 

L’intensificazione dell’attività di sorveglianza degli utenti e di vera e propria censura da parte di Facebook, così come di altri social network o dello stesso Google, è in primo luogo la conseguenza delle pressioni dei governi e della classe politica in genere di svariati paesi. Questa tendenza ha avuto inizio negli Stati Uniti, dove la vicenda delle presunte interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016 a favore di Trump, anche se tuttora senza prove, ha fornito l’occasione per lanciare una campagna contro la libertà di espressione, con la scusa di combattere le cosiddette “fake news”.

 

In questo contesto, i luoghi della rete, nei quali ha luogo il dibattito politico e centinaia di milioni o miliardi di persone hanno la possibilità di esprimersi, sono stati individuati dai politici di tutti gli schieramenti come un elemento critico in grado di coagulare l’opposizione e il dissenso contro un sistema profondamente screditato. Per questa ragione, la legittima manifestazione di visioni critiche e alternative, soprattutto se dirette contro il capitalismo, è diventata un’attività al limite del lecito e da soffocare in tutti i modi.

 

I vertici di compagnie come Facebook, Twitter o Google sono stati così invitati e talvolta minacciati dai governi a prendere provvedimenti per limitare opinioni e notizie dissonanti, assurdamente attribuite a regimi ostili o a estremisti con intenti destabilizzanti. Il risultato è una serie di misure anti-democratiche, come ad esempio la marginalizzazione sui social network e sui motori di ricerca di siti, attivisti o testate che offrono un punto di vista critico e alternativo a quello dei governi e delle loro casse di risonanza del giornalismo ufficiale.

 

La notizia dell’accordo tra Facebook e Macron, annunciata recentemente dal presidente francese, rientra esattamente in questo quadro e conferma come i governi siano disposti ad accettare soltanto un’informazione e uno scambio di idee conformi ai propri interessi. I censori di Zuckerberg e quelli di Macron, in definitiva, avranno facoltà di cancellare post e contenuti che ritengono inappropriati, senza fornire giustificazioni o spiegazioni di sorta.

 

Quella con Facebook potrebbe oltretutto non essere l’unica partnership a scopo di censura promossa da Parigi. I media transalpini hanno infatti già preannunciato una possibile futura collaborazione con Google, in modo da oscurare o rendere virtualmente invisibili i risultati delle ricerche degli utenti, considerati sgraditi dal governo francese.

 

Questa deriva autoritaria è un fenomeno ormai quasi globale e, per quanto riguarda la Francia, è strettamente connesso al crescere delle tensioni sociali, provocate dalle politiche ultra-liberiste di Macron, e a un livello di popolarità del presidente ormai in caduta libera. In altre parole, con l’approfondirsi della crisi sociale e politica, assieme all’esplodere dell’opposizione contro un presidente e un governo che hanno da tempo mostrato la loro feroce natura di classe, anche i vertici dello stato francese cercano di strozzare ogni forma di dissenso con interventi sulla libera circolazione delle opinioni e dirottando il malcontento interno su paesi nemici o estremisti intolleranti.

 

Che l’obiettivo di Macron sia lontano anni luce dalla difesa della democrazia o della libertà di espressione era apparso d’altra parte evidente anche qualche giorno prima del suo annuncio della partnership con Facebook. In una visita nell’ambito delle celebrazioni dei cento anni trascorsi dalla fine della Prima Guerra Mondiale, il presidente francese aveva elogiato pubblicamente il leader del governo collaborazionista di Vichy durante l’occupazione nazista, maresciallo Philippe Pétain, la cui devozione era stata finora quasi sempre limitata alle sole frange neo-fasciste d’oltralpe.

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