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L'India guarda a Gandhi, ma la sorpresa è il Ghana

L'India guarda a Gandhi, ma la sorpresa è il Ghana

Viaggio nei padiglioni nazionali dai Giardini all'Arsenale

VENEZIA, 08 maggio 2019, 21:22

Roberto Nardi

ANSACheck

Biennale 58, una visitatrice nel padiglione del Ghana. FOTO EPA/ MARTON MONUS © ANSA/EPA

Biennale 58, una visitatrice nel padiglione del Ghana. FOTO EPA/ MARTON MONUS © ANSA/EPA
Biennale 58, una visitatrice nel padiglione del Ghana. FOTO EPA/ MARTON MONUS © ANSA/EPA

    Guardare alla storia passata, a figure come Gandhi, a 150 anni dalla nascita, per avviare una riflessione su concetti come azione o libertà in una fase di tempi "spinosi", a dirla con le parole del presidente della Biennale Paolo Baratta, dove si creano crepe su fronti come quelli di diritti che nel mondo occidentale sembrano da tempo acquisiti e in altri Paesi del resto del mondo ancora da metabolizzare.
    Non poteva che arrivare dall'India, attraverso la variegata proposta di sette artisti, un messaggio d'arte che prende spunto dalle idee del Mahatma, "personaggio tanto apprezzato quanto criticato" ma "difficile da ignorare in un mondo violento e intollerante".
    Storia, integrazione razziale, indipendenza, violenza sulle donne, rapporto tra uomo e natura in un'ottica di costruzione di un possibile futuro: sono solo alcuni dei tanti temi, delle tante suggestioni, che si incontrano girando per i padiglioni nazionali della 58. esposizione internazionale d'arte della Biennale, "May you live in interesting times", a cura di Ralph Rugoff. Sono 90 complessivamente le rappresentanze nazionali a cui mesi fa il curatore ha fatto conoscere, a solo titolo di sapere, il suggestivo tema dei "tempi interessanti". Padiglioni sparsi per le sedi storiche della Biennale - i Giardini e l'Arsenale - e in tanti altri punti della città lagunare. Come da tradizione, nel primo giorno della vernice - l'inaugurazione e l'apertura al pubblico sabato 11 maggio - si sono formate lunghe fila davanti agli ingressi di padiglioni come la Francia - con un progetto di Laure Prouvost "intriso di utopia e surrealismo" - o la Gran Bretagna, con le opere di Cathy Wilkes. Poco lontano la Germania con una sala di pietre e un muro curvo o il Giappone con una installazione a quattro firme (un artista, un compositore, un antropologo e un architetto) per riflettere sull'ecologia condivisa. Negli spazi dei Paesi Nordici una sorta di invito all'umanità a guardare a forme di vita disperse presenti sul pianeta per garantire un futuro, mentre due artiste del padiglione svizzero scrivono una lettera al visitatore per andare all'indietro contro l'odio e l'arroganza. Particolarmente interessante, davanti a un fiorire di video o installazioni, il padiglione statunitense con le sculture di Martin Puryear, il titolo è "libertà". Da vedere anche quello russo, dove c'è il titolo richiama un capitolo del Vangelo di Luca e un dipinto di Rembrandt all'Ermitage.
    Passando all'Arsenale, una positiva sorpresa è la proposta del padiglione Ghana - per la prima volta alla Biennale con Madagascar, Malesia e Pakistan - per forza curatoriale e qualità delle opere, suggestiva l'installazione al padiglione dell'Arabia Saudita e carica di rimandi alla storia - c'è anche un riferimento alla struttura segreta "Gladio"" nella proposta del Cile.
   

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