Alla periferia di Alessandria, nel quartiere vicino al porto, c’è una parrocchia copto-cattolica. Abuna Francis, un prete di quasi due metri, sposato (ai sacerdoti copti è consentito) con tre figli, ci accoglie nella parrocchia dell’Immacolata Concezione. Metal detector, cancello di ferro, ingresso della chiesa principale sempre chiuso; si entra a messa praticamente passando dalla sacrestia. “Siamo in un quartiere a maggioranza Salafita – spiega – con la presenza anche dei Fratelli Musulmani. Ci sono anche povertà, armi, droga. Non ci facciamo mancare niente”, dice ironicamente. Ma alla sua messa se non arrivi in tempo ci sono solo posti in piedi. “Più sono le minacce e più la chiesa e piena”, sottolinea il prete di frontiera.
E' una comunità ferita ma sostanzialmente salda, unita, esempio anche per i cristiani d'Occidente. A parlare così dei cristiani in Egitto è il direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre, Alessandro Monteduro, a conclusione della recente missione nel Paese dove la fondazione pontificia ha avuto incontri con le diverse realtà della Chiesa al Cairo, Alessandria, Assiut, Minia. "Sono tanti i progetti sostenuti da Acs, particolarmente vicina a questa comunità dopo i fatti del 2013. Contribuiamo alla sicurezza dei luoghi di culto, alla ricostruzione, al sostegno dei familiari di alcune vittime", sostiene Monteduro. Aiuto alla Chiesa che Soffre ha finanziato, negli ultimi sei anni, progetti in Egitto per 4,6 milioni di euro. "Ora a noi compete andare avanti, invitare le diocesi e gli ordini religiosi a sentire vicine queste realtà. Siamo pronti a profondere più sforzi nell'area del Medio Oriente, e in Egitto in particolare". "Acs torna in Italia con l'idea di una comunità forte, consolidata nella fede, esempio vivo per le comunità cristiane d'Europa. Qui si partecipa alla messa - ha fatto notare Monteduro - consapevoli di mettere a repentaglio la vita. I ripetuti attentati non hanno allontanato i fedeli ma hanno avvicinato ancora di più i cristiani alla chiesa".
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