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Indonesia: famiglia kamikaze muore preparando bomba

Tre morti e due feriti. Erano amici degli attentatori di ieri

Tre membri di una terza famiglia di aspiranti kamikaze sono morti ieri sera e due sono rimasti feriti nell'esplosione di un ordigno che stavano preparando in un appartamento a Sidoarjo, una città vicino a Surabaya. Lo ha riferito la polizia indonesiana, spiegando che una delle vittime era un caro amico del padre della famiglia di sei persone che ieri ha organizzato il triplice attentato contro chiese cristiane a Surabaya, che ha ucciso un totale di 14 persone, ferendone 41.

L'episodio dopo che questa mattina, sempre a Surabaya, si è verificato un nuovo attentato con una motocicletta bomba scagliata contro il quartier generale della polizia. Anche questo attacco è stato messo a segno da cinque membri della stessa famiglia. A farsi saltare in aria sono stati genitori e due figli. La sorellina, una bambina di otto anni, è sopravvissuta: il bilancio è di almeno quattro agenti e sei civili feriti.

Famiglia kamikaze fa strage di cristiani in Indonesia - E' stata una strage di cristiani, ma anche l'attentato più grave dell'ultimo decennio nel Paese, nonché il primo che ha coinvolto una kamikaze donna. Tre esplosioni all'esterno di tre diverse chiese a Surabaya, la seconda città più popolosa dell'Indonesia, hanno causato almeno 13 morti e 41 feriti questa mattina. L'attentato, rivendicato dall'Isis, è stato compiuto da un'intera famiglia di sei persone di ritorno dalla Siria, tra cui i quattro figli tra i 9 e i 18 anni: un preoccupante segnale di una più diffusa radicalizzazione nel Paese musulmano più popoloso al mondo. Le tre esplosioni sono avvenute a distanza di pochi minuti una dall'altra attorno alle 7.30, poco prima della messa.

Il primo attacco ha colpito la chiesa cattolica Santa Maria, dove i due figli adolescenti (18 e 16 anni) della famiglia kamizake si sono fatti saltare in aria. Poco dopo il padre ha guidato un'autobomba contro una chiesa pentecostale, e infine la madre si è fatta saltare in aria assieme ai due figli più piccoli all'esterno di una chiesa calvinista. Visitando i luoghi dell'attentato, il presidente indonesiano Joko 'Jokowi' Widodo ha parlato di "azioni codarde, barbare e al di là di ogni limite di umanità". Nel pomeriggio l'Isis ha rivendicato gli attacchi. In particolare, l'intelligence sospetta il coinvolgimento del gruppo Jemaah Anshorut Daulah (Jad), una rete di decine di miliziani che tre anni fa hanno giurato fedeltà allo Stato islamico, e che l'anno scorso si sono già resi protagonisti di attacchi minori. In uno sviluppo la cui relazione con gli attentati di Surabaya non è chiaro, la polizia ha ucciso quattro militanti del Jad prima dell'alba in alcune città nell'ovest dell'isola di Giava. Gli attacchi odierni contro la minoranza cristiana - a cui appartiene circa il 9 per cento dei 260 milioni di indonesiani - sono i più gravi dagli assalti coordinati della vigilia di Natale nel 2000, quando morirono 15 persone.

Negli ultimi due decenni l'estremismo islamico ha però rappresentato un pericolo costante nell'arcipelago dove, nonostante la maggior parte della popolazione segua un Islam moderato e lo Stato riconosca cinque religioni, la frangia più radicale è in crescita. Dopo gli attentati di Bali nel 2002, nei quali morirono 202 persone, le autorità hanno lanciato un'imponente operazione anti-terrorismo, che ha progressivamente indebolito le capacità organizzative dei gruppi legati ad Al Qaeda. Negli ultimi anni sono però sorti nuovi gruppi fedeli all'Isis, che prendono di mira in particolare le autorità. Solo pochi giorni fa, in un carcere di massima di sicurezza a Depok (periferia di Jakarta), dei detenuti condannati per terrorismo hanno preso in ostaggio nove agenti del corpo di élite anti-terrorismo Densus 88, uccidendone cinque dopo averli torturati. La rivolta è stata sedata dalle forze di sicurezza, provocando tre morti tra i militanti. Gli attacchi di Surabaya, secondo le autorità, potrebbero essere una rappresaglia. O ancora peggio, i primi di un'escalation di violenza da parte dei centinaia di militanti indonesiani reduci dalla Siria.

 

   

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