Il primo passaggio della legislatura, l'elezione dei presidenti di Camera e Senato, potrebbe prefigurare la formazione della maggioranza necessaria a formare un governo e a far decollare la legislatura. Un passaggio che si verificherà il 23 marzo, giorno della prima seduta delle Camere. Le presidenze delle due Assemblee parlamentari non sono necessariamente legate alla nascita del governo. Nella Prima Repubblica, dal 1976 in poi la maggioranza di governo del centrosinistra affidò la presidenza della Camera al Pci, in modo da coinvolgerlo nella gestione delle Istituzioni. Dalla Seconda Repubblica, con il maggioritario, si è tornati a far coincidere la maggioranza di governo con quella che sceglie le due presidenze. E nel 2013 Bersani con le candidature di Pietro Grasso e Laura Boldrini tentò di aprire un dialogo con M5s.
In questa legislatura ancora non è chiaro quali possono essere le possibili maggioranze di governo, né se sulla scelta dei due presidenti possa nascerne una o se si punti a delle presidenze di garanzia, come ha affermato Danilo Toninelli di M5s, né cosa si intenda con tale formula: essa infatti potrebbe alludere all'affidamento all'opposizione di una delle due presidenze (come era per il Pci nella Prima Repubblica), ma potrebbe essere un escamotage per favorire un governo di minoranza: in tal caso una delle presidenze (il Senato che è la Seconda carica dello Stato) viene affidata al partito che permette la nascita del governo non votando contro la fiducia. Su uno degli scenari possibili, un governo M5s-Pd-Leu, Matteo Renzi ha chiuso mentre Leu ha aperto.
Tra i pentastellati si punta sulla possibilità che i Dem non seguano il loro segretario e facciano da junior partner a M5s al governo. In tal caso la presidenza del Senato potrebbe andare ad un esponente del Pd mentre quella della Camera a M5s (per esempio Roberto Fico). Se poi quella alleanza dovesse nascere sul nome di un premier diverso da quello di Di Maio, questi guiderebbe la Camera. I numeri dei Dem non sarebbero invece sufficienti a far nascere un governo M5s di minoranza se alla loro "non sfiducia" facesse da pendant il "no" di tutto il centrodestra.
E quindi con questo schema non sarebbe plausibile un Dem sullo scranno che fu di Grasso. Un altro scenario evocato nei Palazzi in queste ore e una maggioranza tra M5s nonché Lega e almeno una parte di Fi, Che Salvini traghetterebbe in questa avventura. Salvini non avrebbe interesse a far il junior partner di Di Maio, ma se il suo gruppo parlamentare fosse più ampio rispetto a quello della sola Lega, il rapporto con DI Maio sarebbe più equilibrato. Anche in tal caso la presidenza del Senato potrebbe andare all'alleato di M5s, o a un leghista (come un Roberto Calderoli) o a un forzista (Paolo ROmani). Questo schema sarebbe invece sufficiente numericamente a far nascere un esecutivo di minoranza dei pentastellati e anche in questo caso la presidenza del Senato andrebbe, in chiave di garanzia, a chi permette tale operazione. I bookmaker inglesi scommettono su Salvini premier (è dato a 1.5 rispetto a 2.5 di Di Maio) ma nei Palazzi romani non si vede dove il centrodestra possa raggranellare i voti che gli mancano sia alla Camera che al Senato.
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