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di Roberto Bertoni
Placido Rizzotto: la memoria, la testimonianza e il futuro. Rizzotto e il suo coraggio, Rizzotto e le sue denunce, Rizzotto, segretario generale della Camera del lavoro di Corleone, impegnato a favore del movimento contadino per l’occupazione delle terre, che venne rapito e assassinato dalla mafia settant’anni fa, su ordine del boss Michele Navarra e ad opera, si sospetta, di Luciano Liggio, Pasquale Criscione e Vincenzo Collura, dapprima rei confessi e poi assolti per insufficienza di prove, avendo ritrattato la loro confessione in sede processuale. Senza dimenticare la tragedia del pastorello Giuseppe Letizia, appena dodicenne, il quale rimase vittima di una misteriosa iniezione in quanto, condotto dal padre all’ospedale di Corleone, diretto proprio da Navarra, in preda a febbre alta, avrebbe confessato di aver assistito all’omicidio del sindacalista. E il medico incaricato di prendersene cura, il dottor Ignazio Dell’Aira, dopo averne constato il decesso per tossicosi, guarda caso, partì per l’Australia e non fece mai più ritorno in Italia.
Tornando al partigiano e sindacalista della CGIL Placido Rizzotto, aveva trentaquattro anni quando pagò con la vita le proprie battaglie e la propria azione di contrasto al cancro di cui per decenni sarebbe stata negata persino l’esistenza, arrivando a diffamare, isolare e trattare come un paria chiunque si fosse permesso di rivelare ciò che tutti sapevano ma che veniva tenuto ipocritamente nascosto, onde non disturbare i manovratori occulti che si servivano di quei voti e di quegli interessi luridi per conservare e accrescere il proprio potere.

Placido Rizzotto, al contrario, vedeva, sapeva e non aveva alcuna intenzione di tacere: si batteva per i propri ideali e per i diritti della sua gente, credendo profondamente nell’azione politica del sindacato, nel suo ruolo di mediazione sociale, nella sua funzione costruttiva di comunità e tessuto civico, nel suo dover camminare sempre al fianco degli ultimi e degli oppressi e nella sua difesa non solo del lavoro ma, più che mai, della sua dignità.
Placido Rizzotto dopo la strage di Portella della Ginestra, il primo eccidio dell’Italia repubblicana: storie lontane, ricordi che ormai appartengono a pochi, fatti misconosciuti e volutamente condannati all’oblio da chi ha tutto da perdere dalla coltivazione e dall’esercizio collettivo della memoria; vicende che appartengono ad un’altra stagione e che tuttavia, se le si analizza a fondo, si comprende quanto siano ancora drammaticamente attuali.

Placido Rizzotto che, forse, oggi sarebbe stato meno solo, per cui forse oggi qualcuno si sarebbe mobilitato, cui oggi è senz’altro doveroso rendere omaggio, facendone conoscere la biografia e l’operato alle giovani generazioni, affinché comprendano l’importanza del sindacato, la sua centralità nella lotta contro ogni forma di fascismo e nella rinascita dell’Italia nel dopoguerra, il suo prestigio da conservare gelosamente, la sua utilità e la sua missione esistenziale nel contrasto a tutte le mafie.
Placido Rizzotto, settant’anni dopo. Perché ricordare non basta più: bisogna agire, seguendo il suo esempio e onorando così la sua straordinaria persona.

Tratto da: articolo21.org

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