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ciancio mario sanfilippo c imagoeconomica 2L'editore è imputato per concorso esterno
di Aaron Pettinari
"Un pezzo grosso" che "abbracciava tutto" paragonato a Vito Ciancimino a Palermo. E' questo il profilo che il collaboratore di giustizia, Francesco Di Carlo, uno degli storici pentiti di Cosa nostra, ha fatto nei giorni scorsi di Mario Sanfilippo Ciancio, durante il processo per concorso esterno, nei confronti dell'editore, a Catania. L'ex capomafia di Altofonte è stato chiamato a testimoniare dall'accusa, rappresentata dai pm di Catania Antonio Fanara e Agata Santoncito e rispondendo ad una domanda precisa ("Le hanno mai presentato imprenditori di Catania?") ha raccontato alcuni particolari: "Ho conosciuto Pasquale Costanzo (fratello di Carmelo, ndr) negli uffici di Misterbianco, quando prese potere Nitto". Poi, parlando di Ciancio, ha proseguito: "Non l’ho mai conosciuto, so che si interessava un pò di tutto, di un giornale e di altre attività, Nitto mi raccontava dei suoi rapporti diretti con Ciancio”. Secondo Di Carlo i boss catanesi si sarebbero rivolti all'editore "per tante cose, per una diffida, un problema in Tribunale, in generale per situazioni giudiziarie”.
Di Carlo ha anche parlato di quelli che il giornalista Pippo Fava definiva come “i quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”: "Graci, Costanzo, Rendo, Finocchiaro erano tutti imprenditori vicini a Cosa nostra". Quindi ha proseguito a fornire particolari dei rapporti tra Ciancio ed i boss.
In un'altra occasione, "questo Ciaccio" (il collaboratore durante la deposizione già volte ne ha storpiato l'appellativo, ndr) sarebbe anche intervenuto per risolvere un'altra questione nell'agosto del 1980. “Mi ero recato a Catania, perché dovevo incontrare Nitto, ma arrivato in città si presentò suo fratello Salvatore dicendomi che lo avevano arrestato, ma che lo avrebbero rilasciato nel giro di pochi giorni perché erano intervenuti degli amici - ha detto Di Carlo - Santapaola insieme a Franco Romeo e ‘Ciuzzu u firraru’ (cioè Francesco Mangion, ndr) si stava recando da un "corleonese di ferro", Mariano Agate, capo mandamento di Mazara del Vallo".
In quell'occasione "vennero fermati durante un posto di blocco perché accusati dell'omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari. Poi sono stati rilasciati e Nitto Santapaola mi disse che si era adoperato un capitano, tale Speranza, amico suo, che aveva ricevuto in regalo una macchina. In quella occasione anche questo Ciancio, era intervenuto con le autorità, insieme a Costanzo. Questi imprenditori li avrebbero aiutati, adoperandosi in diversi modi”. Di Carlo ha anche rivelato un altro episodio "nuovo": "Qualche anno prima i fatti di Castelvetrano, dei pasticceri vicini a Cosa nostra di Palermo e che avevano un bar all’aeroporto, erano interessati a gestire anche quello di Catania. Per l’occasione è stato interpellato Calderone, che si rivolse a Ciancio, e quest’ultimo li aiutò”.
Ovviamente, nel corso dell'audizione Di Carlo ha anche raccontato il suo curriculum criminale, i rapporti avuti con Riina e Luggio, l'amicizia con i Cuntrera e Caruana, i problemi a Catania tra il boss etneo Pippo Calderone, detto ‘cannarozzu d’argento’, e gli emergenti Nitto Santapaola e Alfio Ferlito. E poi ancora il periodo vissuto a Londra.
Il processo a Ciancio è stato aggiornato al prossimo 13 novembre, quando i magistrati ascolteranno il collaboratore palermitano Giovanni Brusca, e i catanesi Santo La Causa e Gaetano d’Aquino.

Foto © Imagoeconomica

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