Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

intercettazioni rosFoto e Video
di Aaron Pettinari

L'operazione Falco svela i metodi per stabilire le gerarchie

Una “mangiata” alla vecchia maniera per decidere chi assume il comando del mandamento mafioso di Santa Maria del Gesù. E’ così che i boss hanno eletto Giuseppe Greco, già riconosciuto come reggente e, nel gergo mafioso, definito come “il principale”. E’ questo uno dei particolari emersi dall’indagine che ha portato all’arresto di 27 persone per mafia da parte dei carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Palermo su richiesta della Procura della Repubblica guidata da Francesco Lo Voi. Il summit, a cui hanno partecipato almeno 12 uomini d'onore, era utile proprio per stabilire le nuove gerarchie dopo un lungo periodo vissuto tra fibrillazioni interne, iniziate nel 2011 con l’eliminazione di Giuseppe Calascibetta, ed arresti (basti ricordare, ad esempio, l’inchiesta “Torre dei diavoli” scattata nel 2015).
La nuova operazione, denominata Falco, ha permesso di ricostruire l’intero organigramma del mandamento. In quell’occasione, oltre a Greco, vennero nominati anche Natale Giuseppe Gambino e Gaetano Messina come sottocapo e consigliere. La carica di capodecina, invece, venne data a Francesco Pedalino e Mario Taormina. Antonino Profeta, pur in assenza di un incarico formale, fu presentato come rappresentante di Greco, mentre il vecchio boss Salvatore Profeta avrebbe scelto di non concorrere per alcun ruolo sia per l'età avanzata che per non sottrarre posti agli altri.
E’ la prima volta in cui vengono documentate le modalità di scelta dei ruoli tra boss.
Di questo in passato avevano riferito soltanto i primi collaboratori di giustizia, negli anni '80 ma, secondo quanto emerso nelle indagini, le procedure di elezione sono precedute da una sorta di propaganda elettorale a favore dei candidati.
“Minchia riunione di Santa Maria…”, diceva soddisfatto Profeta in un’intercettazione. E Gambino confermava: “...vedi che ha dagli anni novanta che non c’è una riunione di cinque persone qua ah... Santa Maria ogni tanto si sveglia…”.
In quella riunione, nei locali di una sala da barba (con Giuseppe Greco presente) si parlava persino dei ruoli da assegnare: “Io incarichi non ne voglio... io voglio essere solo diretto con te... e... no... sottocapo...”, diceva Gambino a Greco. Nel caso documentato dal Ros, non vi sarebbe stato un vero e proprio antagonista alla figura di Giuseppe Greco che, in funzione della carica di reggente già assunta, avrebbe ottenuto da subito il consenso degli affiliati più autorevoli, tra i quali lo stesso Salvatore Profeta, lontano parente del falso pentito della Guadagna, Vincenzo Scarantino. Sarebbe stata anche la parentela con Scarantino, oltre che l'età avanzata, a indurre Profeta a fare un passo indietro in favore di Greco. Il voto si è svolto "ad alzata di mano... per vedere l'amico", si legge in una delle intercettazioni, quindi a scrutinio palese. La votazione avverrebbe però solo per i ruoli apicali, mentre le nomine per i posti di sottocapo e capodecina sarebbero riservate allo stesso "principale". Non c’è bisogno di votazione neanche per la designazione dei collaboratori più stretti ed è per questo motivo che ad Antonio Profeta è bastato semplicemente il vaglio del capomafia, permettendogli di non rispettare le rigide regole della gerarchia mafiosa tra cui l'obbligo di informazione dei quadri immediatamente superiori.



Ricordando Bontate
Durante le indagini non sono mancati riferimenti allo storico boss del Mandamento, Stefano Bontade, ucciso durante la seconda guerra di mafia che porterà alla scalata di Salvatore Riina e l’ala dei corleonesi. Il ricordo dell’autorità del Principe di Villagrazia, nonostante fosse stato vittima di un tradimento in seno alla sua stessa famiglia mafiosa, resta comunque forte tra i membri del mandamento che hanno stigmatizzato come “il generale non ne ha vinto mai guerra senza soldati”, esaltando la forza della famiglia come entità (tutti siamo utili e nessuno è... indispensabile!) in grado di imporsi all’interno ed all’esterno (l’unica legge che conosci tu... è quella del più forte!). Profeta ricordava che “all'epoca (negli anni Settanta, ndr) si facevano mi pare… ogni cinque anni... ma sempre Stefano Bontade acchianava...all'epoca cento... centoventi eravamo...”. Oggi invece “se li sommi quanto siamo? Neanche a venti arriviamo”.

Lezioni di mafia
Tra i retroscena emersi vi sono anche delle vere e proprie “lezioni di mafia” dei vecchi boss ai giovani rampolli. "Le intercettazioni, eseguite in luoghi considerati assolutamente sicuri dagli indagati, hanno consentito di avere cognizione del ferreo ed ortodosso rispetto delle regole di cosa nostra - hanno spiegato gli inquirenti - Salvatore Profeta e Giuseppe Gambino si sono profusi in vere e proprie 'lezioni di mafia' da impartire ai più giovani affiliati, con riferimento a regole di comportamento e di interrelazione gerarchica”. Proprio in occasione di un rimprovero mosso da Giuseppe Greco a Gambino, "relativamente ad una estorsione affidatagli, le propalazioni utilizzate dal rimproverato per discolparsi hanno rappresentato il primo caso in cui indagati intercettati hanno esplicitato l’esistenza in termini di Cosa nostra - hanno aggiunto gli investigatori - peraltro invocandola come entità d’appartenenza di supremo e incondizionato rispetto e in ossequio alla quale l’affiliato mai avrebbe disatteso gli ordini ricevuti”. “Quando parliamo di Cosa nostra… parliamo di Cosa nostra! - dicevano i boss - Quando dobbiamo babbiare …babbiamo...”. Frase che mostra come ancora oggi l’organizzazione criminale Cosa nostra sia vista come un’entità assoluta a cui portare incondizionato rispetto.

Nel summit l’ok per l’omicidio Sciacchitano
Altro aspetto registrato durante le indagini è che nella riunione convocata per nominare i nuovi vertici della "famiglia" mafiosa di Santa Maria di Gesù fu deciso anche l'omicidio di Mirko Sciacchitano, avvenuto il 3 ottobre del 2015 mentre i ''dirigenti'' del mandamento erano stati eletti il 10 settembre in un summit. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il delitto sarebbe strettamente collegato al tentativo di omicidio di Luigi Cona. Per la gambizzazione di Cona è stato arrestato Francesco Urso, uno dei giovani nipoti del boss Pietro Vernengo. Per il regolamento di conti all'interno delle cosche, Urso ha portato con sé Salvatore Sciacchitano, detto Mirko, che - poco più di tre ore dopo - sarà crivellato di colpi davanti a una sala scommesse di via della Conciliazione, come ritorsione per aver partecipato alla gambizzazione di Cona. Sciacchitano sarebbe stato sorpreso da un commando a bordo di una Panda rossa, composto - per gli inquirenti - da Domenico Ilardi, Francesco e Gabriele Pedalino, e Antonino Profeta, mentre a un centinaio di metri, i presunti mandanti del delitto - Salvatore Profeta e Giuseppe Natale Gambino - avrebbero assistito alla scena in silenzio. Per l'omicidio Sciacchitano sono a processo il boss della Guadagna Salvatore Profeta, il figlio Antonino, il genero Francesco Pedalino, suo figlio Gabriele, i boss Natale Giuseppe Gambino e Giuseppe Greco, nonché Domenico Ilardi e Lorenzo Scarantino. Erano stati tutti arrestati nell'ambito di due diverse operazioni dei carabinieri, "Stirpe" e "Torre dei Diavoli".


Estorsioni sempre al centro degli affari
Dall'indagine emerge che le estorsioni continuano a tappeto. I proventi delle estorsioni verrebbero generalmente utilizzati per provvedere ai parenti dei carcerati. I clan, infatti, continuano a considerare il mantenimento delle famiglie dei detenuti un dovere da rispettare a ogni costo.
L'indagine dei carabinieri ha documentato le dazioni di denaro in favore della moglie di Carlo Greco, fratello di Giuseppe, storico capo mandamento attualmente detenuto all'ergastolo. Le intercettazioni hanno, inoltre, rivelato l'esistenza di una cassa comune gestita per conto dell'intera famiglia. Una cassa in un primo momento in possesso di Giuseppe Natale Gambino e poi finita in consegna a Francesco Pedalino, e successivamente, dopo l'arresto di questi, a Pietro Cocco che registrava entrate e uscite e custodiva il denaro. Ma il dato che allarma è soprattutto che le vittime non denunciano. “Il riconoscimento esterno dell'associazione - scrive il gip che ha disposto le misure cautelari - è stato espresso anche da imprenditori che, in linea con la ricostruzione giurisprudenziale della figura dell'imprenditore colluso, hanno fatto ricorso agli indagati al fine di ottenere la commissione di lavori presso terzi". Agli uomini d'onore più bassi in grado, inoltre, era delegato l'esercizio della violenza necessario per esercitare il controllo sul territorio. L'inchiesta ha documentato un pestaggio ai danni di una vittima, che non è stata identificata, a cui avrebbero partecipato mafiosi come Lorenzo Tinnirello, Antonino Profeta e Francesco Pedalino. “La famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù è storicamente tra le più antiche e influenti di Cosa nostra - ha ricordato il comandante provinciale dei carabinieri di Palermo il colonnello Antonio Di Stasio - E' stata capace di riorganizzarsi internamente dopo ogni operazione delle Forze dell'Ordine e della magistratura. Nonostante la recente morte del capo dei capi, anche l'operazione odierna conferma, ancora una volta, come Cosa nostra prosegua lungo il solco tracciato da lunghi anni di storia criminale, tramandando regole e tradizioni ferree ai nuovi affiliati, ricostruendo di volta in volta la sua gerarchia con elezioni dei rappresentanti ai vari livelli, controllando il territorio, ricorrendo all'uso della violenza nella pratica estorsiva e sostenendo gli affiliati detenuti e le rispettive famiglie”. “Sono trascorsi poco meno di 10 giorni da quando l'Arma dei Carabinieri ha duramente colpito un'altra storica famiglia mafiosa cittadina, quella di Borgo Vecchio - ha aggiunto -. Ma, nonostante il momento storico abbia dimostrato segnali di cambiamento di direzione della Sicilia, questa volta non si è registrata la stessa collaborazione dei commercianti che hanno denunciato i loro estorsori”.

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos