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santapaola ercolano aldoDai traffici illeciti agli equilibri di potere dentro Cosa nostra
di Francesca Panfili
Ai vertici dei clan dell’area ionico etnea rimangono i Brunetto, anche dopo la morte di Paolo Brunetto avvenuta nel 2013. Questa dinastia ha origini lontane e rappresenta un’articolazione della famiglia Santapaola-Ercolano che opera lungo la fascia ionica tra Mascali, Giarre, Riposto e Fiumefreddo di Sicilia, con importanti ramificazioni anche nell’area pedemontana di Randazzo, Castiglione di Sicilia e nella Valle dell’Alcantara.
Negli anni ‘80 e ‘90 era Sebastiano Sciutto, detto Nuccio Coscia, il referente dei Santapaola nell’area ionica, ma in pochi anni Paolo Brunetto era riuscito a divenire interlocutore diretto della mafia catanese. Riuscì a conquistare l’egemonia in questa zona attraverso usura, estorsioni, traffico di droga e di armi e ad accumulare denaro attraverso due aziende di Mascali, come è risultato dalle inchieste della Dda etnea. Si tratta di due società, una di autotrasporti (Ambra Transit) e una di costruzioni (Cosma Costruzioni), legate al settore dell’edilizia. Con queste attività Brunetto e gli uomini del suo clan ripulivano il denaro sporco e allo stesso tempo continuavano lo spaccio di cocaina, eroina e marijuana lungo tutta la costa ionica, compresa Taormina.
Nonostante le precarie condizioni di salute che hanno caratterizzato gli ultimi anni di vita di Paolo Brunetto, la sua leadership era rimasta ben salda fino alla morte. Come si evince da alcune intercettazioni telefoniche, la sua parola nei confronti di affiliati e famiglie mafiose locali era tenuta in grandissima considerazione.
Dopo la morte prematura, a ricevere la sua eredità è stato Pietro Olivieri, meglio noto come ‘Carmeluccio’, che acquisì la reggenza del mandamento. Negli ultimi mesi della malattia di Brunetto, Carmeluccio si occupava di risolvere i dissidi interni e si faceva strada prendendo il posto di Salvatore Brunetto, fratello del boss che però non godeva della stessa fiducia da parte dei Santapaola. A confermarne lo scenario è il pentito Santo La Causa, che svelò ai magistrati i dettagli di questa successione mafiosa.
Il pentito racconta che dopo la morte di Angelo Santapaola avvenuta nel 2007, fu Saro Tripodo il reggente del gruppo di Picanello, nonché colui che manteneva i contatti con Fiumefreddo di Sicilia ed in particolare con Melo, soggetto di spicco del clan Fiumefreddo. In questo modo Tripodo attirò le invidie di Salvatore Brunetto, che voleva essere riconosciuto come successore di Paolo. Secondo La Causa, Salvatore Brunetto non era ritenuto affidabile e per questo non era a conoscenza degli affari della famiglia. Anche i suoi atteggiamenti attirarono spesso le ire di altri uomini del clan, come Enzo Aiello.
Le precarie condizioni di salute di Paolo Brunetto e i continui ricoveri consentirono a Pietro Olivieri, alias Carmeluccio, di ottenere il riconoscimento e l’investitura del clan, avvenuta, secondo gli inquirenti, nel giorno del funerale del boss, quando il feretro è stato sollevato in aria ed indirizzato verso di lui, come a simboleggiare un passaggio di consegne.
Oltre ai Brunetto, si spartiscono il territorio ionico etneo altre due famiglie: la prima fa riferimento a Paolo Di Mauro detto “u’ Prufissuri”, che per gli inquirenti è il referente dei Laudani in quest’area, mentre l’altro è Antonino Cintorino, alla guida del clan Cintorino, vicino alla famiglia dei Cappello. Una convivenza a tre che non è mai sfociata in scontri sanguinari.
Di Mauro controlla l’aerea di Piedimonte Etneo sin dagli anni ‘80. Come per Brunetto, anche a lui viene riconosciuta autorevolezza e una buona arte di mediazione. Nel tempo ha costruito legami solidi con i gruppi dell’Est Europa, con i quali ha alimentato traffici di droga ed armi. Come ha rivelato il super pentito Giuseppe Laudani, nipote dello storico boss Iano Laudani, ‘u Prufissuri era l’uomo a cui ci si rivolgeva se si aveva bisogno di armi. La maxi inchiesta “I Vicerè” ha però portato allo smantellamento del clan Laudani in tutta la provincia di Catania, fiaccando il potere di Paolo Di Mauro.
Antonino Cintorino è invece il boss che si spartisce il potere all’interno di un cosiddetto triumvirato. Ha doti meno diplomatiche di Di Mauro e per questo ha dato vita negli anni ad una faida interna per il controllo del clan che opera tra Calatabiano e la provincia di Messina. Mantiene la sua egemonia attraverso attività illecite che vanno dal traffico di droga, alle estorsioni e alla gestione degli appalti pubblici. Dopo il suo arresto le ultime inchieste, come “Fiori di Pesco”, rivelano dei cambiamenti di equilibri tra i clan nella gestione delle estorsioni e dei traffici illeciti, specie nei comuni della Valle dell’Alcantara.

In foto: i boss Nitto Santapaola e Aldo Ercolano

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