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20180608 cosi in terra film don ciottiVenerdì 8 giugno, su Rai 3, il film di Paolo Santolini, 'Così in terra', racconta la lunga e operosa storia di don Ciotti, dagli inizi a Pieve di Cadore, studente ribelle, alla fondazione del gruppo Abele e dell’associazione Libera: "Sono da cacciare i mafiosi corrotti, non i migranti"
di Silvia Fumarola
Dal paese dov’è nato, Pieve di Cadore, a Torino, dove il padre lavora come operaio, l’alunno Luigi Ciotti fa il primo gesto di ribellione. Tira il calamaio alla maestra: dopo venti giorni non ha ancora il fiocco: “Ehi tu, montanaro”, gli dice l’insegnante davanti ai compagni di classe. Luigi si sente umiliato. "Ho sbagliato", racconta, "ma ero pieno di rabbia”.
Sacerdote dal 1972, tra gli ultimi, per le strade ad aiutare i tossicodipendenti, al fianco delle vittime di mafia, a rivendicare la dignità per chi ha perso tutto. È un lungo percorso quello di don Luigi Ciotti, 72 anni, su e giù per l’Italia, dal gruppo Abele all’associazione Libera, fondata nel 1995, armato di passione civile. Una vita spericolata che Così in terra, il film di Paolo Santolini in onda venerdì 8 maggio su Rai3 alle 21.15 (sarà poi visibile su RaiPlay per una settimana), racconta passo dopo passo. È Vasco Rossi a introdurre il documentario, spiega come lui e don Luigi siano simili "nell’impossibilità di essere neutrali, distaccati, nello stupore, il dubbio, la necessità di capire, di sospendere il giudizio e il candore infantile". "Due vite spericolate", osserva il Blasco, "come sono in fondo tutte le vite che si lasciano guidare dall’inquietudine, che si sentono più a casa nel cercare che nel trovare. E non c’è ricerca che non sia spericolata".
Per girare Così in terra (prodotto da Paolo Benzi con Okta Film, Rai Cinema, Fondazione Unipolis, Fondo Audiovisivo Friuli Venezia-Giulia e Coop) Santolini ha seguito don Ciotti e i suoi angeli custodi (vive scortato da 29 anni) per due anni, da Locri a Roma, da Palermo a Torino, da Napoli a Milano, ovunque, dalla baracche alle scuole, tra gli studenti, a cui spiega il valore della memoria. "Va pronunciato il nome di un ragazzo della scorta ucciso, perché il primo diritto di una persona è essere chiamata per nome".



Viaggia col Vangelo e la Costituzione. "Speriamo che Dio ci dia una bella pedata per scuotere le nostre coscienze", dice don Luigi col suo lessico concreto. Predica e benedice, con furore: "È il noi che vince, il cambiamento non è opera di navigatori solitari", mentre i preti di frontiera raccontano come il malaffare s’infiltri, come un imprenditore piazzi fioriere di fronte alle chiese. "Sono da cacciare i mafiosi corrotti, non i migranti", si legge nei suoi appunti.
Di questi tempi, parole che suonano come una risposta a Matteo Salvini. Lo dice gridando: "La terza guerra mondiale è quella della finanza e dell’economia che lascia dietro gli ultimi, so che dai vostri balconi vedete chi dorme qui", dice indicando un rustico di cemento diventato ricovero di fortuna "chi è povero non è libero, chi è senza lavoro non è libero: la ‘ndrangheta non ci lascia liberi". In Aspromonte, al fianco di una vedova che ricorda il marito meccanico ucciso nell’officina, ringrazia le donne "grande protagoniste del Vangelo: ai piedi della croce ci sono le donne". Nella chiesa di Pieve di Cadore predica ai fedeli che "il cristiano autentico è sempre sovversivo. Siate sovversivi!". Si ferma tra le sue montagne, lo zaino sulle spalle, e finalmente ha l’aria serena.

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