Al via “VHacks”, il primo hackathon in Vaticano

Quando gesuita Spadaro scriveva sulla sintonia tra fede e hacker

MAR 8, 2018 -

Città del Vaticano, 8 mar. (askanews) – Si apre oggi il primo hackathon in Vaticano. “VHacks” – “V” sta per “Vatican” – è una sorta di “maratona di cervelli” (il termine hackathon nasce dalla crasi di hack e marathon), che vede sviluppatori di software, programmatori, grafici, project manager collaborare e competere per identificare soluzioni a questioni globali quali l’inclusione sociale, il dialogo tra le religioni e le crisi mondiali di migranti e rifugiati.

A presentare l’evento che si svolgerà fino a domenica, nella Sala Marconi della Radio Vaticana, sono stati oggi mons. Lucio Ruiz, della Segreteria vaticana per la comunicazione, e padre Eric Salobir, del think thank “Optic” (Order of Preachers for Technology, Information and Communication), di cui lo stesso domenicano è fondatore. L’iniziativa si avvale, inoltre, della collaborazione con il Pontificio Consiglio della cultura e con la sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale.

“Il Papa conosce bene questo progetto e ci ha incoraggiato a realizzarlo”, ha detto mons. Ruiz spiegando che è stato lo stesso Francesco, che non prenderà parte all’appuntamento, a concedere l’imprimatur affinché l’iniziativa si chiamasse “Vatican Hacks”.

Quattro, ha spiegato l’esponente della Segreteria per la comunicazione, i motivi che hanno spinto ad organizzare l’iniziativa in Vaticano: “Le sfide che porta avanti l’hackathon comprendono gli argomenti che stanno più a cuore al Santo Padre – i migranti e i rifugiati, il dialogo interreligioso, l’inclusione sociale – e dunque supportano queste idee; la Chiesa ha sempre camminato con la cultura, e la relazione tra scienza e fede è stata sempre molto profonda; essendo il Vaticano un’istituzione di dimensioni internazionali, era il luogo più adatto per presentare la bellezza e la potenza del lavorare insieme tra intelletto e fede, amore e tecnica, accogliendo la sfida di mettere la scienza e la tecnologia a servizio di chi ha bisogno; creare un modello per invitare altre realtà a rispettare la relazione intensa che esiste tra il mondo dell’università, i giovani, i tecnici, gli scienziati”.

Il tema degli hacker suscita da tempo l’attenzione della galassia cattolica. In un articolo del 2011 il gesuita Antonio Spadaro, oggi uno degli uomini più vicini al Papa, scriveva sulla Civiltà cattolica che dirige un articolo sulla “etica hacker”, che “tra fede ed etica hacker si possono creare sintonie. Ad esempio, il linguaggio di programmazione Perl, creato nel 1987 dall’hacker Larry Wall, cristiano evangelico, è sì l’acronimo di Practical Extraction and Report Language ma in origine si chiamava Pearl e deve il suo nome alla ‘perla di gran valore’ (Mt 13,46) trovata la quale un mercante vende tutto pur di comprarla. Egli, oltre a dare nomi quali bless (benedire) apocalypse ed exegesis a funzioni del suo linguaggio, spesso, parlando in conferenze e congressi fa riferimento alla sua fede cristiana. In particolare Wall, come Pittman e altri, collega strettamente la sua azione creativa alla propria fede: ‘Perl è ovviamente il mio tentativo di aiutare gli altri ad essere creativi. Umilmente, sto aiutando la gente a capire un po’ di più quali sono le persone che piacciono a Dio’, che è il modello assoluto, l”artista cosmico’.

All’interno di questa visione l’etica hacker può acquistare persino risonanze profetiche per il mondo d’oggi votato alla logica del profitto, per ricordare che il ‘cuore umano anela a un mondo in cui regni l’amore, dove i doni siano condivisi'”.