I cattolici al voto, il paradosso dei tempi di Francesco

Papa Bergoglio è punto riferimento anche per molti non cattolici nella stagione della possibile irrilevanza

MAR 4, 2018 -

Città del Vaticano, 4 mar. (askanews) – Il cardinale Camillo Ruini, quello che “meglio contestati che irrilevanti”, teme che si stia avverando il suo incubo peggiore. Quello di una “fase nuova”, ha confessato in una recente intervista in vista delle elezioni del quattro marzo, “in cui i cattolici rischiano l’irrilevanza”.

Ruini non dice il falso. Nei suoi anni la Conferenza episcopale italiana prese in mano le redini lasciate dalla Democrazia cristiana in via di scomposizione. Family day, referendum sulla procreazione medicalmente assistita, testamento biologico furono altrettanti fronti di una battaglia, tutta incentrata sulla bioetica, che viedero affermarsi nella politica italiana una “egemonia culturale” episcopale. Il porporato emiliano oggi riconosce candidamente che “il centrodestra ha avuto probabilmente più successo del centrosinistra” nel rivendicare la propria consonanza con i “valori” cattolici. O, meglio, con alcuni valori cattolici. Perché Ruini non dice neanche tutte la verità.

La sua era una strategia politica lucida, di resistenza in un mondo sempre più secolarizzato e senza più partito dei cattolici, ma il cattolicesimo è una realtà ben più complessa. E nel frattempo il panorama è mutato radicalmente, sia nella politica italiana che nella Chiesa mondiale.

Poche settimane dopo le scorse elezioni del 2013, poi, è stato eletto Papa Jorge Mario Bergoglio. Un Pontefice argentino che mantiene la distanza dalla politique politicienne italiana, senza però rinunciare a stimolare continuamente il dibattito a favore dei migranti, dell’ecologia, delle vittime di un sistema economico ingiusto. A favore del popolo ma non dei populisti. Un vescovo di Roma che ha archiviato i “valori non negoziabili” ruiniani, lo strabismo sulla bioetica che dimenticava il sociale, il collateralismo col centrodestra. Un cattolicesimo che non osteggia la modernità, una fede che si apre a non credenti e credenti di altre fedi, un cristianesimo che si concepisce lievito nella pasta e non controcultura. “Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro”, ha detto nel 2015 ai vescovi italiani.

E la Chiesa italiana, ora guidata dal cardinale Gualtiero Bassetti (presidente) e da monsignor Nunzio Galantino (segretario), è effettivamente più distante dalla politica. Nessuna rivoluzione copernicana, la Cei è sempre cattolica, ma gli accenti vengono posti equamente su aborto e immigrazione, sulla bioetica e sul sociale, a favore delle scuole cattoliche ma anche delle mense Caritas. Nel corso della legislatura appena conclusa sono passate leggi – le coppie di fatto, il biotestamento – che non hanno fatto felici i certici dell’episcopato, ma non hanno neppure incontrato una loro militante opposizione.

La politica italiana, da parte sua, sta cambiando pelle. Nel Parlamento del 2013 entravano per la prima volta i grillini. Quasi impossibile, all’epoca, trovare un cinquestelle che rivendicasse il proprio cattolicesimo. Oggi, sotto la guida di Luigi Di Maio, gli eredi di Beppe Grillo sfilano ad Assisi, convergono con la Chiesa sulla domenica non lavorativa, incassano il placet di chi, tra i vescovi, guarda ad una loro eventuale affermazione elettorale con curiosità. Più di un vescovo vede di buon occhio il centrodestra. Sui rapporti con Silvio Berlusconi, però, pesa lo strappo del caso Boffo, le “cene eleganti”, un Cavaliere che, dopo gli anni di Governo, è sembrato più di una volta tornare, sui diritti civili, tirare fuori un suo antico liberalismo. Matteo Salvini e la sua campagna che ha cavalcato il tema dell’immigrazione non è piaciuta ad ampi settori cattolici, né il Vangelo e il rosario tirati fuori per un “giuramento” in piazza – l’arcivescovo di Milano Mario Delpini non ha gradito, la Cei ha significativamente taciuto – ha cambiato le cose.

Quanto al Partito democratico, che pure in cinque anni ha dato alla maggioranza dell’episcopato qualche dispiacere, e che non è mai entrata in sintonia con Matteo Renzi quando era al Governo, è innegabile che non pochi presuli abbiano apprezzato la forza tranquilla di Paolo Gentiloni, l’impegno di ministri come Beatrice Lorenzin, Graziano Delrio, nonché – è stato Bassetti in persona a testimoniarlo con una “svolta” estiva sull’immigrazione – Marco Minniti.

Soprattutto, rispetto al 2013 c’è un’altra legge elettorale. Oggi la prospettiva che nessuna forza politica ottenga la maggioranza per governare è pressoché scontata, il proporzionale di democristiana memoria è tornato, guardato con un sorriso da più di un porporato Oltretevere. E, certo, temi cattolici ce ne sono, ma, in una campagna elettorale peraltro povera di contenuti, salvo Civica popolare di Beatrice Lorenzin e Noi con l’Italia di Maurizio Lupi, non sono molti i riferimenti programmatici al cattolicesimo. Tra i candidati, ad esempio, Simone Pillon porta avanti le idee del Family day con la Lega, Federico Iadicicco con la con Fratelli d’Italia, Mario Adinolfi che combatte la sua battaglia anti-gender con la lista del “Popolo della famiglia”.

Sul fronte opposto, un documento sull’accoglienza dei migranti lanciato ai candidati di ogni partiti da un cartello di organizzazioni cristiane – tra gli altri Centro Astalli, Acli, Azione cattolica, Fuci, Pax Christi, movimento dei Focolari – ha continuato a raccogliere adesioni. Una realtà come la comunità di Sant’Egidio vede un suo esponente, Paolo Ciani, candidato consigliere alla Regione Lazio, Comunione e liberazione ripropone un discorso del Papa a Cesena sulla “buona politica”.

I cattolici, insomma, alle elezioni arrivano in ordine sparso. E’ una tendenza consolidata nel corso degli ultimi decenni. Ma questa volta sembra una scelta sistematica. Proprio mentre Papa Francesco occupa senza imbarazzo la scena politica mondiale, battibecca con Trump e telefona alla Merkel o Putin, lancia segnali di fumo alla Cina e riceve in Vaticano una lunga teoria di leader latio-americani. Parla di migranti, guerra in Siria, capitalismo da correggere. E rifeirimenti al suo magistero si trovano in una miriade di promesse elettorali, non di rado di sinistra, e il suo pensiero economico spunta nel blog dei cinque stelle o nelle dichiarazioni di Liberi e Uguali e Potere al popolo. La Conferenza episcopale italiana di Bassetti, da parte sua, sembra preoccupata soprattutto dal clima di scontro. Bisogna “ricostruire la speranza, ricucire il Paese, pacificare la società”, ha detto. Per questo, magari non sarà “grande coalizione” ma l’auspicio dei vescovi è che vengano eletti politici responsabili e possibilmente sobri. E l’appello che i vescovi hanno fatto in tutte le direzioni è di non disertare le urne, perché con l’astensione alta potrebbero affermarsi gli estremisti di ogni orientamento. Poi, dopo il quattro marzo, sarà tutto nelle mani di Sergio Mattarella. Che, tira un sospiro di sollievo più di un credente, grazie a Dio è cattolico.