L'intervista

Don Leone, 50 anni da... leone «È più bello esser prete oggi»

Don Leone, 50 anni da... leone «È più bello esser prete oggi»
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Don Leone Lussana, lei ha preso messa in un anno speciale, era il dicembre 1968. Da allora sono passati cinquant’anni e il mondo è cambiato.

«È cambiato tutto. Allora vivevamo la stagione del dopo Concilio, ma la nostra chiesa era ancora la chiesa trionfante, quella in cui a messa andava il novanta per cento della popolazione».

Adesso siamo al venti.

«Appunto».

Allora, la chiesa guidava la società bergamasca.

«È così. Adesso siamo minoranza, adesso la Chiesa ha perso gran parte della sua influenza, anche a livello concreto, sociale, economico».

Un disastro.

«No, per niente: il senso del fare il prete è ancora più forte di prima. Adesso il messaggio che noi Chiesa vogliamo trasmettere è ancora più importante: abbiamo la possibilità di essere ancora più profondamente cristiani».

Ma questo forte cambiamento, questo allontanamento di tanta gente dalla Chiesa, non l’ha messa in difficoltà?

«Sinceramente, no. Perché il senso della mia missione è rimasto tale e quale: il senso cristiano della vita. Questo è il filo rosso che ha percorso tutto il mio essere prete, ha segnato la mia vocazione. E proporre ad altri questo senso della vita, oggi è ancora più importante e gratificante di ieri. Oggi il messaggio di Gesù è più provocatorio rispetto a ieri. Dar da bere agli assetati, dar da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi. Accogliere chi bussa alla nostra porta. Non lanciare mai la prima pietra. Non giudicare. Capire e capire e ancora capire. Prendere le distanze e denunciare gli ipocriti, i “sepolcri imbiancati” e anche gridarlo. Secondo lei queste parole che arrivano da Gesù, e quindi da Dio, sono per caso superate nel mondo di oggi? O sono una provocazione fortissima?».

Lei non è mai stato un prete comodo, fin da quando era seminarista.

«Sono uno Scalvino, sono nato a Schilpario nel 1944. Noi Scalvini non siamo di quelli che le mandano a dire, no. A volte in maniera poco diplomatica. È vero, ebbi qualche problema in seminario a Roma, diciamo che ero un po’ critico verso certi atteggiamenti. Mi mandarono via, poi venni recuperato a Bergamo e divenni prete con qualche mese di ritardo, a dicembre anziché a giugno. Così ebbi l’onore di una breve cronaca di monsignor Andrea Spada su L’Eco di Bergamo. Spada, il mitico direttore del giornale, era di Schilpario, come me: sottolineò proprio il sapore particolare di quel giorno, con la neve, quel senso di raccoglimento, di intimità del paese nei giorni prima del Natale».

A quanti anni entrò in seminario?

«Andavo in prima media».

Non era un po’ troppo giovane?

«Allora era normale. Poi avevi tante occasioni per fare un passo indietro, nel caso non fossi convinto. Ma allora era tutto diverso rispetto a oggi, allora il seminarista, e poi il prete, era molto sostenuto dalla famiglia, dalla comunità, era molto ben...

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 41 del BergamoPost cartaceo, in edicola fino a giovedì 17 gennaio. In versione digitale, qui.

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