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  • L'anno incredibile della Chapecoense: sopravvivenza e squallido marketing

    L'anno incredibile della Chapecoense: sopravvivenza e squallido marketing

    • Stefano Benzi
    La maglia verde con cui il Torino è sceso in campo nell’ultimo turno di campionato non era il prodotto di una delle solite operazioni di marketing: era un omaggio, alla squadra della Chapecoense (femminile… per pietà, è una Associaçao) che è drammaticamente e profondamente legata alla storia del Torino. 

    È passato solo un anno ma anche il ritmo frenetico dei social network e delle notizie usa e getta dovrebbe ricordarvi qualcosa: parliamo della squadra brasiliana azzerata da un drammatico incidente aereo nel momento più grande della sua storia, la finale della Copa Sudamericana contro il l’Atletico Nacional Medellin: i superstiti sono pochissimi, Jakson Follman, Alan Ruschel, Hélio Hermito Zampier Neto sono vivi per miracolo e soltanto un paio di loro troverà il coraggio di tornare in campo. 

    La Chapecoense è frutto di un altro miracolo: nasce da un centro agricolo dell’estremo occidente del paese, non ha nulla dei grandi club di Rio, Sao Pauo, Belo Horizonte o Porto Alegre. A Chapecò si coltivano mais, frumento, malto… è il serbatoio delle birrerie e dei panifici del paese. La squadra di calcio è esplosa quasi per caso per via della passione di moltissimi immigrati italiani e in pochi danni, dal 2009, è salita dalla quarta seri alla Serie A.
     
    Il loro aereo si schianta il 28 novembre prima ancora di atterrare a Medellin. La ricostruzione è confusa, si parla di un atterraggio di emergenza causato dalla pioggia o da un motore in avaria; poi si scoprirà che l’aereo era a corto di nafta: 68 i passeggeri, nove i membri dell’equipaggio. I morti saranno 71, i sopravvissuti solo sei: tre calciatori, un tecnico di volo una hostess e un giornalista. Tutti in pessime condizioni. Marcos Danilo, l’amatissimo portiere del club muore in ospedale qualche giorno più tardi. 

    Il Brasile si ferma: prima il lutto, poi la solidarietà. La Chapecoense è azzerata, il campionato è quasi finito e il club è ormai in salvo ma tutte le squadre brasiliane si accordano con la Lega per prestare al club i giocatori necessari a completare l’impegno: con una deroga la richiesta viene accolta.  

    Dal canto suo l'Atletico Nacional di Medellin rinuncia al trofeo che viene assegnato di diritto alla Chapecoense: vale prestigio ma anche soldi, necessari a rifondare la squadra. Molti atleti nati nella regione tornano a casa e si prestano per la rifondazione: arrivano offerte di collaborazione da tutto il mondo, persino il nazionale islandese Eiður Guðjohnsen si mette a disposizione per giocare per il club.

    Con Superga, il disastro dei Busby Babes del Manchester United, ma anche i ragazzi della nazionale dello Zambia precipitati sulle coste della Guinea nel 1993 è il quarto più drammatico incidente nella storia del sport. 

    Vi sorprenderà sapere che sono almeno venticinque gli incidenti aerei che hanno avuto per vittime squadre sportive: sulla leggenda della squadra universitaria dei Marshall uccisi in uno schianto aereo nel 1970 a Ceredo è anche stato realizzato un meraviglioso film.

    Anche la storia del Chapecoense è da film… il portiere Nivaldo, 299 presenze in squadra senza mai una partita con un’altra maglia non parte per la Colombia per preparare la partita di campionato con l'Atlético Mineiro e festeggiare così la sua 300esima presenza: dopo il disastro non avrà mai più il coraggio di tornare in campo. Alejandro Martinuccio, ex Villarreal e campione del Brasile con il Cruzeiro è infortunato: non parte come il leggendario Edmundo, O Animal della Fiorentina, ora commentatore: ha un problema personale e all’ultimo momento rinuncia. 

    Chi muore giace ma chi sopravvive così difficilmente si dà pace. Dener che doveva sposarsi con la sua compagna e madre di suo figlio cinque giorni dopo, Ruschel che si sposta dalla coda dell’aereo vicino al suo amico Follmann per chiacchierare: coda dell’aereo polverizzata, Ruschel e Follmann miracolosamente salvi. Matheus, il figlio dell’allenatore: non lo fanno imbarcare perché ha dimenticato il passaporto, e resta a terra. 

    La finale di Medellin non si gioca, lo stadio si riempie all’inverosimile in un gran silenzio: al centro del campo le bare di tutti i giocatori e delle vittime. Settantuno tortore bianche si librano in cielo e solo in quel momento i tifosi dell’Atletico Nacional Medellin, oltre 50mila e tutti vestiti di bianco, illuminano i loro telefonini e intonano un interminabile mantra “Vamos Vamos Chape”… avanti, la storia deve continuare.

    Grazie ai prestiti di squadre di ogni parte del mondo, ai soldi guadagnati grazie a una finale non giocata, alle sovvenzioni offerte da diverse fondazioni sportive la Chapecoense sopravvive e domenica, con un gol di Tulio de Melo al 95’, ha battuto il Coritiba e, dopo essersi garantito la salvezza in Serie A, festeggia l’approdo alle qualificazioni della Copa Libertadores. 

    Alla squadra non è stato regalato nulla ma la fidelizzazione dei tifosi è aumentata da 9mila a 25mila tesserati e pur senza avere miliardi in cassa il Chape si è salvato. Un’impresa che sembrava impossibile. 

    Inevitabile che sulla storia, molto bella, si siano precipitati autori televisivi e sceneggiatori che ora vorrebbero fare di questo dramma un film. In effetti da quanto ho visto in tv negli ultimi giorni per imprecisioni, errori, stupidaggini ed elementi di fiction sarebbe meglio stare zitti e leggere qualche buon libro: il più bello è quello di Yaneth Molina e si intitola “Yo Tambien Sobrevivi”, un altro è “Volves a los cielos” di Ximena Suarez. Il resto è marketing… perché le tragedie sono uno straordinario elemento di marketing. Tv ed editoria lo sanno bene. 

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